La battaglia di Sentinum
A Sentinum si svolse una delle cruciali battaglia di Roma contro gli italici. Nel 295 a.C., infatti, la terza guerra sannitica trovò il suo epilogo. La coalizione di sanniti, etruschi, umbri e galli, che aveva osato levare la testa contro l’espansione di Roma nella Penisola, fu sconfitta e la città, sita nelle odierne Marche, finì sotto il dominio della Repubblica Romana.
I consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano, già vittorioso a Tifernum, e Publio Decio Mure, che pure aveva sconfitto i sanniti a Maleventum, stavola si trovarono ad affrontare un insieme di forze alleate che di gran lunga superavano i numeri dei contingenti romani. Provarono allora a dividere il nemico. La strategia fu condotta grazie al generale Lucio Volumnio che si spinse in rapide incursioni nel Sannio affinché quelle popolazioni non finissero con lo schierare tutta la loro forza contro il nerbo dell’esercito romano. Tuttavia la chiave del successo stette nelle delazioni di alcuni disertori che avvertirono i romani sulle mosse degli italici.
Si seppe così che i galli avrebbero tenuto occupato lo schieramento consolare mentre etruschi ed umbri avrebbero tentato di occupare l’accampamento romano. Per spezzarei il piano, Rulliano inviò delle legioni a devastare il Clusium, la nostrana Chiusi, e la sua strategia ebbe successo: gli etruschi e gli umbri abbandonarono la regione di Sentinum per proteggere le proprie terre e, rimasti soli, sanniti e galli furono d’un tratto più vulnerabili. Gneo Fulvio battè gli etruschi, facendone strage a Clusium e Perusia, oggi Perugia. Il campo alleato era finalmente spaccato.
Trascorsero tre giorni e gli eserciti presero posizione nelle pianure al di fuori di Sentinum. Rulliano affrontò i sanniti, mentre Decio i galli. Il primo, esperto conoscitore delle tattiche dei sanniti, tenne i suoi uomini sulla difensiva e, solo quando fu certo che il nemico si stava spossando, chiamò la cavalleria ad un vincente attacco laterale che, congiunto all’avanzata della fanteria, costrinse i sanniti alla fuga.
Dalla parte opposta del campo, Decio aveva lanciato la cavalleria all’attacco sperando in una veloce conclusione dello scontro. Due cariche andarono bene, ma alla terza i cavalieri si spinsero troppo lontano e si trovarono improvvisamente di fronte ai carri gallici, sparpagliandosi in un frenetico ritiro. Decio, allora, imitando quando già aveva fatto suo padre nella battaglia del Vesuvio, si offrì agli dei e si gettò nelle fila nemiche andando incontro alla morte.
Scrive Tito Livio: “Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Veseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini, e avendo aggiunto alla formula di rito la propria intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli dèi celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici, e aggiungendo ancora che lo stesso luogo avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti – lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche”. Quel sacrificio accese gli spiriti dei soldati romani che tornarono a combattere con forza. I sanniti fuggirono, i galli si schierarono a testudo con gli scudi compatti a proteggerli, proprio mentre la vittoriosa cavalleria di Rulliano appariva alle loro spalle.
Morirono quel giorno circa 25.000 alleati, i romani persero 8.700 uomini. Il corpo del console Publio Decio Mure fu riportato al campo tra le lacrime dei soldati. Roma inflisse una sconfitta così pesante agli avversari che la coalizione dei popoli italici non venne mai più ripristinata.