La Battaglia di Montebello
La Battaglia di Montebello fu il primo episodio bellico della Seconda Guerra d’Indipendenza italiana.
Al tramonto del 1858 i rapporti tra la Francia di Napoleone III e l’Impero Asburgico si erano definitivamente incrinati. L’ambasciatore austriaco a Parigi, il barone Hubner, segnalò più volte certi malumori a Vienna. Tutto nasceva dalla conferenza dei plenipotenziari delle maggiori potenze europee convocata sulla questione dei Principati danubiani di Moldavia e Valachia. In tale circostanza, inaspettatamente, l’Austria si schierò con Inghilterra e Turchia contro russi, prussiani, francesi e piemontesi. Il malumore tra le due nazioni si esacerbò quando l’Austria, infrangendo il trattato di Parigi che vietava ogni sorta di ingerenza armata, fornì il suo appoggio al principe Alessandro che era stato deposto dall’assemblea nazionale di Belgrado.
Il 1° gennaio del 1859, in un ricevimento del corpo diplomatico, Hubner si sentì dire da Napoleone III: “Mi duole che le nostre relazioni col vostro governo non siano così buone come per il passato, ma vi prego di dire all’imperatore che i miei sentimenti personali non sono mutati”. Tutto ciò fece sperare ai piemontesi che un conflitto fosse imminente. Così Vittorio Emanuele II, in un discorso pronunciato il 10 gennaio di quello stesso anno a Palazzo Madama, per l’inaugurazione della seconda sessione della VI legislatura, pronunciò la celebre frase: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia levavasi verso di noi”. Napoleone III siglò un trattato di alleanza offensiva con Vittorio Emanuele II. In questo trattato, la Francia si obbligava ad aiutare il Piemonte in caso di aggressione da parte dell’Austria. Si prospettava la creazione di un grande stato nel Nord Italia, dalle Alpi ad Ancona.
E se il governo britannico, con lord Malmesbury, tentò subito di calmare le acque, le mosse piemontesi furono rapide: nella prima tornata della nuova sessione parlamentare – il 13 gennaio – Cavour presentò un disegno di legge per la riorganizzazione della guardia nazionale che fu quindi aperta ai volontari del Lombardo-Veneto e dei Ducati, poi il governo sardo chiese al parlamento l’autorizzazione di contrarre un prestito di cinquanta milioni per riorganizzare l’esercito, e il permesso fu accordato.
Nel frattempo Napoleone III iniziò a ritrarsi temendo che un conflitto potesse avere sull’economia francese un grave impatto. Vittorio Emanuele II restò basito tuttavia fu l’atteggiamento austriaco a spingere la Francia alla guerra.
Quando la Russia suggerì di sottoporre la questione italiana ad un Congresso europeo, Vienna propose che il Regno di Sardegna non vi partecipasse e che fosse anche disarmato. Le altre potenze si opposero a certe pretese ed allora l’Austria si risolse a troncare bruscamente le discussioni intimando, con un ultimatum consegnato a Torino dal barone di Kellersperg il 24 aprile, il disarmo del Piemonte e lo scioglimento dei corpi dei volontari. Se ciò non fosse avvenuto entro tre giorni si sarebbe passati ai campi di battaglia.
Tutto ciò spinse Napoleone III a superare le sue indecisioni ed a mobilitare le sue truppe. Il 26 aprile, Cavour comunicò all’ufficiale austriaco il rifiuto del disarmo. La mattina del 29 aprile comparve il manifesto di guerra dell’imperatore Francesco Giuseppe e nel pomeriggio di quello stesso giorno le prime colonne austriache passarono il Ticino comandate dal maresciallo Giulay. Fu diffuso pure un proclama di Vittorio Emanuele in cui si leggeva: “Impugnando le armi per difendere il mio trono, la libertà de’ miei popoli, l’onore del nome italiano, io combatto pel diritto di tutta la nazione. Confidiamo in Dio e nella nostra concordia, confidiamo nel valore dei soldati italiani, nell’alleanza della nobile nazione francese, confidiamo nella giustizia della pubblica opinione. Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato dell’indipendenza italiana”. Il governo francese, in linea col trattato stipulato con la corte di Torino, considerò l’attraversamento del Ticino come una dichiarazione di guerra al suo alleato e interruppe le relazioni diplomatiche con Vienna.
L’esercito piemontese constava di 56.000 fanti, 4.000 cavalli e 114 cannoni, distribuiti in sei divisioni, cinque di fanteria ed una di cavalleria, e una brigata di volontari chiamata Cacciatori delle Alpi. I comandanti delle divisioni erano i generali De Castelborgo, comandante della prima, Fanti, comandante della seconda, Durando, della terza, Cialdini, della quarta, Cucchiari della quinta, e Sambuy, della sesta. La brigata di volontari era comandata da Garibaldi e constava di tre reggimenti di fanti e di una squadra di 45 guide a cavallo. Comandante supremo dell’esercito era il re in persona, Vittorio Emanuele II, affiancato dal Ministro della Guerra, il generale La Marmora, e dal generale Morozzo della Rocca, capo dello Stato maggiore. All’esercito sardo si unì anche una divisione di volontari toscani capitanata dal generale Ulloa, che contava 8400 fanti, 500 cavalli e 12 cannoni.
L’esercito francese era composto da 128.000 uomini, di cui 10.000 costituivano la cavalleria, e 430 cannoni. A comandarlo c’era Napoleone III assistito dal maresciallo Vaillant. L’imperatore ebbe pure il comando supremo delle milizie federate.
A queste forze l’Austria contrappose un esercito di 200.000 uomini, ovvero 198.000 fanti, 19.300 cavalli e 824 cannoni, comandato dal maresciallo Giulay. L’idea iniziale era quella di sconfiggere i sardi prima che gli alleati francesi fossero entrati nel teatro di guerra. Tuttavia, passato il Ticino con quattro quini del suo esercito, Giulay si accampò senza incontrare resistenza tra Arona, Pavia e Vercelli. L’esercito sardo si concentro tra il Po ed il Tanaro. Quando Giulay spinse una sua colonna sino ad Ivrea, si rese conto che la posizione dei piemontesi gli rendeva impossibile l’avanzata sperata. Dovette richiamare la sua colonna per non lasciare scoperto il fianco destro della sua armata. Lasciò allora passare alcune settimane e nel frattempo i francesi si unirono agli alleati.
Napoleone III arrivò in Italia via mare, il 12 maggio del 1859, sulla Regina Ortensia che attraccò a Genova. Due giorni dopo era ad Alessandria. Qui lasciò suo zio Girolamo Bonaparte, e marciò verso il nemico. Avanzò d’dapprima la destra dell’esercito, comandata dal generale Baraguay d’Hilliers, che passò Cassano Spinola e si portò a Tortona. La seguirono gli uomini di Mac-Mahon e Canrobert, che occuparono l’area di Alessandria, la guardia imperiale condotta da Saint-Jean, che tenne la via di comunicazione da Alessandria a Genova. L’esercito piemontese invece si era posto sulla destra del Po, da Valenza a Casale, e dietro la bassa Sesia, da Villanova a Pertengo e fino a Prarolo.
Temendo che gli alleati mirassero a prendere Piacenza, Giulay abbandonò la sua posizione e concentrò le sue milizie sulla linea del Po, trasferendo il suo quartier generale da Mortara a Garlasco per essere più vicino a Pavia. Inoltre ordinò al maresciallo Stadion di spingersi su Voghera per costringere i francesi ad uscire dagli accampamenti, mentre il generale Urban avrebbe assaltato Casteggio e Montebello.
Così ebbe luogo la prima vittoria della Seconda guerra d’indipendenza. Montebello, sull’appennino ligure, rappresentava una posizione strategicamente importante perché da lì era possibile controllare la pianura di Alessandria. Le truppe francesi, quelle divisione Forey del corpo di Baraguay d’Hilliers, erano in zona, rafforzate dalla cavalleria di Vittorio Emanuele II, composta da dieci squadroni. Quando apparve il generale Urban, questi squadroni provarono ad opporglisi ma, sopraffatti in numero, dovettero ritirarsi a Genestrello con gli avamposti della divisione francese. Qui tennero testa al nemico, finché sopraggiunse Forey. Allora Urban mosse su Montebello andando incontro alla sconfitta.
Il 20 maggio, ventisettemila austriaci furono battuti dai francesi e dalla cavalleria italiana agli ordini del generale torinese Maurizio Gerbaix de Sonnaz. Novemila uomini respinsero un esercito molto più numeroso e meglio difeso dalle artiglierie. Caddero il francese Beuret ed il colonnello piemontese Morelli di Popolo, oltre mille tra gli italiani. Gli austriaci persero 1300 uomini e circa duecento dei loro furono fatti prigionieri.
Cacciati da Montebello, gli austriaci si ritirarono a Casteggio e poi sulla riva sinistra del Po. Nonostante la sconfitta, il generale Gyulay relazionò l’Imperatore parlando di un successo della sua ricognizione e continuando a sostenere che gli alleati miravano a prendere Piacenza…
Autore articolo: Angelo D’Ambra