La Battaglia di Culqualber
Il sacrificio del 1° Battaglione Carabinieri nell’eroica difesa del caposaldo di Culqualber, il 21 novembre 1941, non va dimenticato.
Nel novembre 1941 le operazioni militari italiane in Abissinia erano concentrate nella difesa di Gondar. Il generale Guglielmo Nasi aveva stabilito presidi a Uolchefit, a Celga Blagir, a Tucul Denghià ed Culqualber, nella regione dell’Amhara.
Questo valico di montagna era importantissimo. Culqualber garantiva il controllo della riva nord-orientale del lago Tana e della piana di Ouramba. Al contempo, il nemico doveva necessariamente passare di quì per avanzare su Gondar con i suoi reparti corazzati e le artiglierie.
Il presidio, posto al comando del colonnello Augusto Ugolini, poteva contare sul 1° Gruppo Carabinieri Mobilitato, reduce dalle battaglie sulle alture di Blagir e dell’Ineet Amba. Il loro morale era alto ma gli uomini erano stremati da privazioni e continui sforzi. Per mesi s’erano cibati esclusivamente di bargutta, un miscuglio di granaglie e mangime per animali da traino. Impossibile, poi, era soddisfare la sete, i fiumi erano infatti lontani e su direttrici controllate dai nemici. Nonostante ciò, con spirito di corpo, lavorarono a fortificare le postazioni.
Ad ottobre, un rapido avanzamento aveva loro permesso la conquista di Larnbà Mariarn ed una controffensiva inglese era stata respinta. I Carabinieri, quei giorni, contarono 36 caduti e 31 feriti, un sacrificio enorme che diede respiro al caposaldo di Culqualber.
Il nemico non tardò a ripresentarsi.
Il presidio contava 226 Carabinieri e 180 Zaptié (militari reclutati dall’Arma dei Carabinieri tra le popolazioni indigene delle nostre colonie, in questo caso erano eritrei), 675 Camicie Nere del CCXL battaglione CC.NN. “Salerno”, al comando del seniore Alberto Cassòli, e circa 620 Ascari del Maggiore Carlo Garbieri. Completavano la guarnigione due batterie di artiglieria, la 43^ con 3 cannoni da 77/288 e 40 artiglieri italiani e la 44^, con 2 obici da 70/159 e 34 artiglieri eritrei, un plotone del Genio (65 nazionali e 23 coloniali) ed infine un ospedaletto da campo (con 2 medici ed il cappellano militare).
Dal 21 ottobre operò il fuoco dell’artiglieria e tuonarono le bombe lanciate dall’aviazione. Il 5 novembre un attacco fu respinto; il 12 ne fu respinto un secondo e più potente; il 18 l’azione aerea avversaria si fece più aspra: nove velivoli furono abbattuti dai Carabinieri, ma nei giorni 20 e 21 un nuovo assalto aereo, aggressivo e continuo, si accompagnò con successo all’avanzata incalzante dei carri armati.
I Carabinieri non abbandonarono le loro posizioni fino a quando furono sopraffatti. Si immolarono quasi tutti. Fu una delle ultime cruenti battaglie nell’Africa Orientale Italiana. Un episodio che non pochi hanno accostato all’impresa delle Termopili.
Il Duca Amedeo d’Aosta si era già arreso all’Amba Alagi eppure le forze italiane continuarono a mostrare il loro valore in una resistenza logorante, respingendo più volte l’invito inglese ad accettare la resa. Scrive Raffaele Di Lauro: “I Carabinieri accerchiati da tutte le parti, vendettero a caro prezzo la loro vita; non uno si sgomentò. Ognuno di essi cercò di uccidere il suo avversario diretto o vicino; la mischia determinò il corpo a corpo; le baionette dei Carabinieri si affondavano nell’addome dei britannici con la rabbia di chi non vuole arrendersi; i britannici ed i sudanesi sparavano a bruciapelo sulla faccia dei Carabinieri” (R. Di Lauro, Come abbiamo difeso l’Impero).
La sera del 21 novembre 1941 cadeva di fronte alle armate britanniche l’ultimo caposaldo italiano in Etiopia, dopo una resistenza durata tre mesi e mezzo. I Britannici disposero non solo di una schiacciante superiorità di mezzi – aerei, carri armati, artiglieria pesante, munizioni -, ma anche di una incredibile superiorità numerica, di circa 10 a 1, avendo schierato complessivamente non meno di 22.500 uomini. Le perdite italiane, su circa 2.800 militari, tra nazionali e coloniali, furono di oltre 1000 caduti ed 800 feriti, cui si aggiungono circa 100 familiari, in gran
parte mogli degli Ascari. A Culquaber tramontava, nel sangue, anche l’Impero italiano e di fatto si chiudeva l’esperienza coloniale italiana in Africa.
Un comunicato del Bollettino delle Forze Armate, in data 23 novembre 1941, riportò: “Gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell’epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo dei reparti nazionali, il Battaglione arabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all’ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all’arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti”.
Il grande sacrificio di sangue valse la Medaglia d’oro al Valor Militare alla Bandiera dell’Arma dei Carabinieri per il 1° Gruppo Carabinieri in A. O. con la seguente motivazione: “Glorioso veterano di cruenti cimenti bellici, destinato a rinforzare un caposaldo di vitale importanza vi diventava artefice di epica resistenza. Apprestato saldamente a difesa l’impervio settore affidatogli, per tre mesi affrontava con indomito valore le violente aggressività di preponderanti agguerrite forze che conteneva e rintuzzava con audaci atti controffensivi contribuendo decisamente alla vigorosa resistenza dell’intero caposaldo, ed infine, dopo aspre giornate di alterne vicende, a segnare, per ultima volta in terra di Africa, la vittoria delle nostre armi. Delineatasi la crisi, deciso al sacrificio supremo, si saldava graniticamente agli spalti difensivi e li contendeva al soverchiante avversario in sanguinosa impari lotta a corpo a corpo nella quale comandante e carabinieri fusi in un solo eroico blocco, simbolo delle virtù italiche, immolvano la vita, perpetuando le gloriose tradizioni dell’Arma”.
Il comportamento dei difensori di Culqualber destò ammirazione negli inglesi, ma, nonostante talune fonti affermino che furono resi gli onori delle armi al Tenente Colonnello Augusto Ugolini, al Tenente Dagoberto Azzari ed ai pochi Carabinieri e Zaptiè sopravvissuti, dal Diario Storico Militare del LXVII battaglione coloniale risulta che la resa avvenne solo dopo che Ugolini fece bruciare la bandiera di combattimento.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia:
M. Martelli, Etiopia 1941. Inferno a Culqualber
V. Meleca, La battaglia di Culqualber