La battaglia di Aversa del 1349

Un mese dopo il suo rientro in Ungheria, re Ludovico s’era subito reso conto che doveva tornare il prima possibile nel Regno di Napoli. Lo trattenevano gravosi impegni di governo e scelse di inviare in Italia un suo luogotenente, Stefano, voivoda di Transilvania, con più di trecento militi magiari, affinché recuperasse i territori tornati nelle mani di Luigi di Taranto e Giovanna, in attesa del suo ritorno. Nel giro di un mese il voivoda avrebbe schiacciato l’esercito degli angioini di Napoli nella battaglia di Aversa.
Il voivoda sbarcò a Manfredonia riunendosi a Corrado Lupo, a Foggia.  iniziò a raccogliere cibo e denaro, abbandonandosi a scorrerie su tutto il territorio. I cittadini di Barletta e Salpi, per fermarlo, tagliarono i ponti sui fiumi, ma i soldati trovarono altri modi per raggiungerli. Intanto a Manfredonia sbarcò Stefano, voivoda di Transilvania, con più di trecento ungheresi. Con lui si ordì sanguinarie scorrerie nel territorio di Barletta e spinse Luigi di Taranto ad abbandonare Lucera. Il re di Napoli si ritirò ad Ascoli Satriano, poi a Corneto, infine a Troia. Il voivoda e Corrado si spostarono invece a Lucera.

Si registrò in quei giorni un agguato a cinquecento cavalieri angioini sulla strada da Troia ad Ascoli. Cento cavalieri ungheresi, usciti all’improvviso da un vicino bosco, li costrinsero ad una precipitosa fuga.

Si registrò in quei giorni l’assedio di Corneto. Gli ungheresi seppero che il duca Guarnieri era in città e pensarono di sorprenderlo in una sortita notturna. I loro esploratori, superato il fossato, sorpresero gli uomini di Guarnieri nel sonno. Il duca, scalzo e seminudo, scappò sul tetto di una casa e vi rimase sino al giorno quando si arrese al voivoda assieme a Iacopo Cavalcanti. Verso mezzogiorno giunsero a Corneto i mercenari toscani al soldo di Luigi di Taranto e quando si accorsero che la città era in mano al nemico era troppo tardi. Furono anche loro catturati. Così Stefano e Corrado ritornarono a Foggia con un folto numero di prigionieri che, per aver salva la vita, passarono tutti al servizio del re d’Ungheria, anche il duca Guarnieri, che era già stato accanto a Ludovico ma l’aveva poi abbandonato dopo un diverbio col conte Ulrico.

Luigi di Taranto, sconfortato dall’accaduto, decise di abbandonare la Capitanata e ritornarsene a Napoli. Allora Barletta, Trani, Andria, Molfetta, Giovinazzo e Bitonto, che gli erano stati sino a quel punto fedeli, passarono agli ungheresi. Anche Bisceglie, che il conte d’Altamura aveva in baronia, passò agli ungheresi. Il voivoda radunò a Barletta più di diecimila armati, tra fanti e cavalieri, e poi si mosse per conquistare Bari, con l’intento di continuare la sua marcia sino ad Otranto. In quel frangente però arrivarono lettere da Terra di Lavoro che lo invitavano a spostarsi lì perché tutte le città erano pronte a darsi al re d’Ungheria. Erano, in realtà, lettere false, scritte da Luigi di Taranto per attirare in Campania i nemici e condurli in un aguato. Così, quando il voivoda, superata Canosa, giunse a Benevento, gli angioini di Napoli apparvero in armi alle Forche Caudine. La battaglia durò tutto il giorno ma prevalsero gli ungheresi. Arpaia fu data alle fiamme così Arienzo e Cancello, Acerra fu presa d’assalto, ma il castello resistette, e Capua, protetta dalle sue torri, fu presa e scheggiata dopo la costruzione di un largo ponte che permise al grande esercito ungherese di superare il Volturno. L’esercito del voivoda entrò infine ad Aversa, dove la cittadinanza lo accolse lietamente e da qui iniziò a scorrere i dintorni di Napoli.

Luigi di Taranto, tramite bellicose lettere, lanciò una sfida al nemico. Questi, sicuro delle proprie forze, l’accettò e indicò, come terreno per l’aperta battaglia, un’area presso Melito. Molti contadini si impegnarono a liberare quel campo dagli alberi ed a spianare le fosse. In vista dello scontro, Luigi di Taranto, con l’intento di legare a sé giovani militi e l’aristocrazia locale, nominò settecento nuovi cavalieri, decorati in una cerimonia che consisteva nel cingere una sciarpa ai fianchi del novello cavaliere. Anche il voivoda proclamò nuovi cavalieri. La battaglia avvenne il 4 giugno del 1349.

Era già sorto il sole quando un messo del re di Napoli giunse ad Aversa recando però al voivoda una lettera che chiedeva il differimento della battaglia. Gli ungheresi si riunirono in consiglio ma era solo un inganno perché urla e trombe annunciarono dopo poco che Luigi di Taranto era già alle porte della città. Il voivoda, Corrado Lupo e il Guarnieri comandarono che fossero prese le armi. Furono spediti trecento ungari, arcieri a cavallo, per raggirare e prendere alle spalle il nemico, frattanto Corrado Lupo, con la maggior parte dei mercenari tedeschi, affrontò Luigi di Taranto. Finì male per lui, fu fatto prigioniero da Rimondo del Balzo e subito spedito in catene a Napoli. Il re aveva un esercito più numeroso e quella sorpresa gli aveva dato un bel vantaggio. Pensò così d’aver la vittoria in pugno, ma dovette ricredersi.

Quando apparvero alle sue spalle i trecento arcieri a cavallo, non pensò più a combattere ma solo a salvarsi. I vincitori erano ormai gli ungheresi e inseguirono ed uccisero i fuggiaschi che, per guadagnare velocità di movimento, lasciarono andare anche Corrado Lupo.

L’inseguimento fini fin sotto le mura di Napoli, poi gli ungheresi tornarono ad Aversa. Si contarono più di mille caduti tra gli angioini di Napoli e nessuno tra gli ungheresi. Finirono prigionieri quasi mille napoletani tra i quali Raimondo del Balzo, Roberto Sanseverino e Rogerone conte di Tricarico. Intanto la Puglia era in uno stato di anarchia.

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: D. Guerrini, La guerra del re Luigi I d’Ungheria nel reame di Napoli (1347-1350); I. De Feo, Giovanna d’Angiò

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