La barba nel Regno di Sicilia
L’importanza estetica e sociale della barba nel Regno di Sicilia è confermata da una interessante e sconosciuta norma voluta da Ruggero II.
Spesso è abbinata a basette e baffi. A volte è scelta solo per una questione di praticità, ci si guadagna tempo non radendosi ogni giorno, o forse è una stravaganza della gioventù destinata a scomparire con la prossima stagione. Ad ogni modo la barba già caratterizzava l’estetica antica e lo faceva in maniera controversa. Per esempio la diffusione del rasoio in Egitto è legata a ragioni di carattere religioso ed igienico dettate nei templi di Iside ed Osiride, mentre a Sparta avere una barba lunga da un solo lato del viso era una punizione imposta ai codardi. Una cura maniacale nella depilazione del viso muoveva invece Alessandro il Grande e a Roma il taglio della barba divenne lentamente una pratica che segnava il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Sino al II secolo avanti Cristo, nell’Urbe erano diffuse barbe incolte e capelli lunghi, successivamente comincia a diffondersi l’usanza di curare l’aspetto esteriore anche per una questione di praticità militare. A Roma nacquero quindi le prime botteghe di barbieri che la storia conosca, i tonsores, tuttavia è bene precisare che la moda era anche determinata dagli imperatori ad esempio da numerose opere artistiche sappiamo che Marco Aurelio riprese l’usanza di portare la barba lunga.
Con la nascita dei regni romano-barbarici, le genti provenienti dal Nord e dall’Est d’Europa mostravano folte e lunghe barbe. Ciò che è interessante e poco noto è che le barbe furono al centro di controversie, offese e dispute, determinando l’intervento del legislatore. A tal riguardo in “Le Assise di Ariano” (a cura di O. Zecchino, 1984), troviamo questa particolare disposizione di Ruggero II alle genti del Regno di Sicilia:
“Ciò che è conforme al diritto e alla ragione è abbastanza ben accetto a tutti, mentre ciò che si discosta da un criterio di equità rappresenta per tutti una cosa inaccettabile.
A nessuno fa perciò meraviglia se il sapiente e l’amico dell’onestà ragionevolemente si indigna quando sia trascurato, disprezzato e offeso iniquamente ciò che di più elevato e degno Dio abbia inculcato nell’uomo.
Cosa c’è infatti di più assurdo del fatto che sia valutato allo stesso modo lo strappo della coda del cavallo e lo strappo della barba di un galantuomo?
Pertanto su suggerimento e su preghiera del popolo soggetto al nostro regno, consapevoli dell’inadeguatezza delle sue leggi, proponiamo questa legge ed editto.
Qualora ad uno qualunque del popolo sia stata consapevolmente e deliberatamente strappata la barba, il reo di tale atto subisca una pena di questo tipo, sei soldi d’oro, cioè reali; se invece il fatto sia avvenuto involontariamente e senza premeditazione, nel corso di una rissa (sia condannato a pagare) tre dei medesimi soldi“.
Autore: Angelo D’Ambra