Incursioni turche in Friuli
Accanto alle guerre dichiarate, l’impero turco aveva sviluppato delle guerre non “ufficiali” per aumentare la pressione sull’Occidente, alcune di queste arrivarono a toccare anche il Friuli.
Queste scorrerie erano condotte da bande costituite soprattutto da bosniaci islamizzati, inquadrati in milizie locali guidate da ufficiali turchi, cui si aggregavano volontari irregolari e di diversa provenienza. La base di raccolta e partenza di queste bande era Banja Luka.
Nel 1473 la Serenissima, per rafforzare il suo confine e difenderlo dalle incursioni, iniziò i lavori di costruzione della Linea dell’Isonzo, realizzando una lunga trincea protetta da terrapieno e palizzate e sorvegliata da tre forti (Mainizza, Gradisca e Fogliano), l’anno successivo il Senato ordinò che le truppe sparse per il Friuli si concentrassero nella fortezza di Gradisca, “già per la maggior parte fatta”. A guardia della fortezza furono mandati 3000 cavalli e alcune compagnie di fanti.
Il 29 ottobre 1477 il comandante turco Iskander Beg, forte di circa 10. 000 uomini, pose il campo nei pressi di Gorizia e ottenne dal conte di Gorizia, il permesso di passare indisturbato, con l’impegno di non saccheggiare i territori a lui appartenenti, anche al di là del Tagliamento (come ad esempio Pordenone).
I turchi si divisero in più colonne e passarono l’Isonzo a più riprese cogliendo impreparate le truppe venete e le cernide. Il comandante turco, fingendo di ritirarsi, attirò in un’imboscata nella piana del Preval le truppe veneziane che erano uscite dalla fortezza di Gradisca al suo inseguimento: fu una vera strage, i bosniaci non fecero prigionieri, solo una piccola parte dei veneti riuscì a disimpegnarsi e a riparare precipitosamente nella fortezza.
Tra il 1 e il 3 novembre le bande bosniache saccheggiarono e devastano molti paesi, imperversando soprattutto nella zona tra i fiumi Torre e Tagliamento, poi, cariche di bottino e prigionieri si ritirano sull’Isonzo e 3000 dei loro, con oltre 4000 prigionieri, se ne tornarono da dove erano venuti. Ne rimasero però altri 10.000 che, dopo un paio di giorni di riposo nei pressi di Doberdò, ripassarono l’Isonzo, varcarono il Tagliamento, guadarono il Piave e penetrarono nel Trevigiano seminando distruzione, poi improvvisamente si ritirarono.
Dopo il 1477, quando si avviava la costruzione della nuova fortezza di Gradisca, la Repubblica di Venezia era riuscita, cedendo la città di Scutari, ad ottenere dall’lmpero ottomano una tregua ventennale, con cui cessava, almeno temporaneamente, il pericolo delle incursioni turche in Friuli. Ma nel 1499, alla scadenza della tregua, le ostilità ripresero e avvenne l’ultima e più disastrosa incursione: il comandante turco Iskander Beg, il 28 settembre di quell’anno, con oltre 10.000 uomini, arrivò sotto le mura di Gradisca. Nessuno volle uscire a combattere e ciò permise a Iskander Beg di lanciarsi sui villaggi friulani. Il 29 pose il campo a Rivolto dopo averla data alle fiamme, ma non riuscì a prendere Codroipo, la notte seguente guadò il Tagliamento e il 1° ottobre pose il campo principale nei pressi di Roveredo in Piano, da dove per tre giorni le sue bande scorrazzarono in tutto il Pordenonese raggiungendo le vicinanze di Conegliano.
Il pomeriggio del 3 ottobre i turchi si ritirarono portandosi dietro migliaia di prigionieri, respinsero l’attacco di 800 contadini di Valvasone, che vennero trucidati e dispersi, ma il passaggio del Tagliamento nella notte tra il 3 e il 4 fu reso loro difficile a causa delle piogge che lo avevano ingrossato. Per evitare di essere raggiunti dalle milizie venete che si stavano riorganizzando, gli invasori uccisero 1500 prigionieri che avrebbero rallentato la loro marcia. Passato il Tagliamento, la colonna principale, con migliaia prigionieri, ripiegò verso l’Isonzo mentre una parte della banda si staccò per saccheggiare i paesi dell’alta pianura friulana che era rimasta indenne.
Il 4 ottobre Mortegliano venne assediata ma la popolazione si difese accanitamente e il giorno dopo gli assedianti tolsero l’assedio ricongiungendosi rapidamente alla colonna principale perché temevano di essere intercettati e bloccati dalle forze venete che stavano reagendo.
Il 6 ottobre, dopo aver sostato nei pressi di Medea per dare la possibilità, a chi lo poteva, di riscattare i prigionieri, gli invasori tolsero il campo e iniziarono la marcia di ritorno.
I paesi e borghi distrutti o danneggiati furono circa 300, i morti e i deportati circa 10.000, gli unici reparti militari che diedero prova di coraggio e capacità furono gli stradioti albanesi che incalzarono il nemico e ottennero dei successi locali, nel complesso però l’organizzazione militare veneziana si rivelò del tutto inadeguata a fronteggiare le rapide e sfuggenti bande turche e ciò impose alla Repubblica una riflessione che portò alla decisione di costruire negli anni seguenti la fortezza di Palmanova.
In seguito all’incursione, il provveditore di Gradisca, Andrea Zancani, che si era opposto anche alla volontà di alcuni soldati di portare soccorso ai compatrioti in catene, fu processato e bandito dal Friuli.
Autore articolo: Giorgio Miceli
Bibliografia: Due invasioni dei Turchi in Friuli narrate dal Conte Giacomo di Porcia, raccolte da Giovanni Giuseppe Liruti di Villafredda (Udine, Tipografia Vendrame, 1851); Pier Paolo Pasolini, I turchi in Friuli; D. Buccaro, Le invasioni turche; E. Scarton, Sulle tracce dei Turchi in Friuli. Frammenti di un’inquisitio per sciacallaggio nell’estate del 1478; F. Di Angelo, Storie segrete della storia del Friuli
Giorgio Miceli, alpino, tenente d’artiglieria in congedo, collezionista di soldatini e studioso di storia del Friuli