Impressione, sole nascente
Parigi 1874, nello studio del fotografo Nadar una tela desta l’attenzione divertita di un giornalista. È Impressione, sole nascente di Claude Monet. Quella tela dette il nome all’intero movimento che avrebbe sconvolto l’arte pittorica francese. “Impressionismo” doveva funzionare come scherno nell’ottica di una critica conservatrice, eppure non andò così.
L’innovativa pittura di Monet era incentrata su un approccio completamente differente dagli stilemi classicisti. Egli lavorò non sulla riproduzione del reale, ma sull’effetto che gli oggetti esterni hanno sui sensi. La pittura divenne, così, indicativa di un sentire che si traduceva in una immagine indefinita, soggettiva, intima, comunicativa dello stato d’animo dell’autore, superando qualsiasi limite descrittivo.
Monet era nato il 14 novembre 1840, il padre gestiva una drogheria in rue de Cléry n.3, nel quartiere della Borsa, prima di trasferirsi a Le Havre, a lavorare per il cognato, anch’egli droghiere. La famiglia non ostacolò mai l’attitudine del ragazzo, sin dall’infanzia votata al disegno, e Claude divenne un abile caricaturista, prendendo le prime lezioni di pittura da Wissant, Ochard e poi Eugène Boudin. Deciso a seguire quella strada, col supporto finanziario della zia Lecadre che stava facendo le veci della madre morta nel gennaio del 1857, si spostò a Parigi dove prese a frequentare circoli pittorici cittadini e lo studio di Gleyre, divenendo nel giro di un anno, l’allievo di punta dell’atelier.
Nell’aprile del 1863, con l’amico Frédéric Bazille, era a Chailly, piccolo villaggio nel cuore della foresta di Fontainebleau, circondato da vedute pittoresche che lo sbigottirono. Suggestionarono i suoi occhi i grandi alberi, il verde, i prati, colpirono la sua mente i profumi, i colori, la luce e la possibilità di dipingere all’aria aperta, “en plein air”, totalmente immerso nella natura. Si spostò a Honfleur nel maggio del 1864, accontentandosi di alloggiare da un panettiere e mangiare in una trattoria, pur di continuare la sua ricerca stilistica e le tele che nacquero sono l’inizio della sua fama. Ritraggono il cantiere navale sotto Saint-Siméon, fiori, cascine di campagna, l’estuario tra Honfleur e Sainte-Adresse. In esse il colore era posto al servizio della luce, ne era una funzione, come se Monet stesse provando a a tradurre in pittura i più recenti studi scientifici sulla scomposizione della luce nei sette colori dello spettro solare, affidandosi alla constatazione che ciascun colore tende a investire del proprio complementare lo spazio circostante, sicché l’ombra di un oggetto non è mai la classica macchia nera ma si tinge del colore complementare a quello dell’oggetto medesimo. Ne scelse due da inviare al Salon, La foce della Senna a Honfleur e La punta di Cap de la Hève con la bassa marea. Le due rive dell’estuario recarono al Palais de l’Industrie un ampio soffio d’aria pura in mezzo a pesanti classicismi. I riscontri furon positivi, ma non entusiastici e Monet tornò a Chailly senza demordere. Iniziò allora la celebre Colazione sull’erba, ispirata a Manet, e giuntaci solo in frammenti. Al Salon dell’1866 mandò invece un ritratto della sua futura moglie, Camille, Donna dal vestito verde. Il dipinto catturò le attenzioni della critica. Il gioco delicato della luce tra le pieghe del vestito, colto nella vivacità di un attimo, infonde vita al ritratto. Zola be fu entusiasta: “Non conosco il signor Monet, ma mi sembra di essere uno dei suoi vecchi amici. Ecco un temperamento, fra questa massa di eunuchi. Qui vi è assai di più di un realista, vi è un interprete delicato e forte. Guardate il vestito. E’ soffice e solido. Si trascina mollemente, vive, dice a voce alta chi è questa donna”. Il percorso per il successo però era ancora tutto in salita.
L’opera più importante che segue il ritratto di Camille fu iniziata a Ville-d’Avray. Si tratta di una tela di oltre due metri di lato, ritraente una scena all’aria aperta, Donne in giardino. Qui la sola Camille funge da modello per quattro giovani donne in abiti estivi. Incredibilmente fu rifiutata al Salon del 1867, ma per gli studiosi fu l’opera che segnò l’inizio della maturità del pittore. Essendo di grandi dimensioni, Monet, per non alterare la propria posizione rispetto al soggetto, scavò una fossa nel terreno nella quale lasciava affondare progressivamente la tela. Inventò così, anche dal punto di vista pratico, un nuovo modo di dipingere rispetto alla pittura di atelier: “Allora non si usava fare, ma questa tela l’ho dipinta proprio sul posto e dal vero. Avevo scavato una buca in terra, una specie di fossa, per affondare gradatamente la mia tela quando ne dipingevo la parte superiore”. Vi vediamo fogliame verde, larghe gonne spiegate, che animano una composizione distesa. La maggiore novità fu però sul piano stilistico, per la prima volte la luce assunse il ruolo di protagonista, penetrò le ombre e le colorò di riflessi luminosi, si impadronì di ogni elemento del dipinto e di ricondurlo ad un’unità pittorica, annullò ogni distinzione tra primo piano e sfondo, tra figura e paesaggio.
Il Salon rifiutò ancora le sue opere e solo gli ambienti dell’Esposizione universale del 1867 le ospitarono. Lui, intanto, si portò a Sainte-Adresse per dedicarsi alle regate di Le Havre, a spiagge, rade, battelli. Nel 1868, il Salon accettò Nave che lascia il molo di Le Havre. È con la guerra del 1870 e la Terza Repubblica, però, che la sua carriera subì una svolta. Certamente la borghesia continuò ad ammirare l’accademia, le giurie continuarono ad essere severe, ma Monet scopre un mondo nuovo, salotti privati, circoli culturali, un pubblico vasto e aperto all’arte moderna. Fu pure in visita a Londra, con Pissarro, poi in Olanda, colpito dal porticciolo di Zaandam. Alla fine della Comune, che pare non averlo scosso, fece ritorno in Francia con un piglio diverso, con un occhio più deciso, una mente più chiara. Si stabilì ad Argenteuil, una casetta con un giardino pieno di fiori, con la Senna vicinissima, un insuperabile scenario con due ponti che scavalcano il fiume, quello della ferrovia e quello stradale, e poi il campanile della chiesa e le ciminiere degli opifici. Monet dipinse qui Colazione in giardino e Papaveri. Nella prima, accanto al tavolo con elementi di natura morta, vi vediamo seduto a terra suo figlio Jean e, sul fondo, addossate alla casa, due vaghe figure femminili che conferiscono alla scena un sapore di intimità. I personaggi sono in sottordine, primeggiano cespugli fioriti e aiuole tuffate nel sole. Nella seconda c’è Camille col figlio in mezzo a campi accesi di macchie dei papaveri. Ai fiori, col loro fiammeggiare, il pittore affidò una veduta ondeggiante e sinuosa, che si irradia in innumerevoli direttrici. Per Monet, appare palese in queste opere, il soggetto era diventato un elemento secondario nel quadro, ciò che contava non era la rappresentazione realistica di un oggetto, ma l’impressione che tale oggetto suscitava. Monet guardava la realtà, ma con l’occhio di chi sa che essa è solo apparenza e non verità assoluta. Le sue tele presentano, così, solo un’unità solo intuitiva. Per questa ragione uno dei maggiori scandali suscitati dall’Impressionismo derivò dall’apertura della linea di contorno che fece nascere la convinzione che gli artisti presentassero semplici abbozzi.
Questo periodo si concluse il 15 aprile del 1874 con una esposizione collettiva della Société Anonyme des Artistes peintres, sculpteurs, graveurs, – gli artisti perennemente rifiutati dal Salon – organizzata da Degas in un locale del fotografo Nadar, al secondo piano di uno stabile all’angolo di boulevard des Capucines e di rue Daunou. C’erano centosessantacinque dipinti e uno di essi diventò il manifesto dell’esposizione: Impressione, sole nascente di Claude Monet.
Il critico Louis Leroy, per il settimanale umoristico “Le Charivari”, s’impadronì del titolo e intitolò ironicamente la sua stroncatura come “Mostra degli impressionisti”. Ci resta la testimonianza del critico: “Fu davvero una giornata terribile quella in cui osai recarmi alla prima mostra (degli impressionisti) sul bolulevard des Capucines assieme a Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin, pluripremiato… L’imprudente era andato lì senza pensarci, credeva di vedere della pittura come se ne vede dovunque, buona e cattiva, più cattiva che buona, ma che non attentasse ai buoni costumi artistici, al culto della forma, al rispetto dei maestri. Ah, la forma! Ah, i maestri! Non ne abbiamo più bisogno, povero amico mio! Tutto questo è cambiato… Il poveretto ansava, sragionando così, pacatamente, e nulla poteva farmi prevedere il penoso incidente che avrebbe provocato la sua visita a quella mostra… – Ah, eccolo, eccolo!, esclamò davanti al numero 98. Che cosa raffigura questa tela? – Impressione, sole nascente. – Impressione? Ne ero certo. Ci deve essere impressione là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è più curata di questo dipinto”. Questa tela divenne così il simbolo dell’intero gruppo di pittori.
Vi è raffigurato il porto di Le Havre nella nebbia mattutina col disco solare che spicca sull’orizzonte e immette nell’acqua un seguito di pennellate accese, irregolarmente corsive. Tratti di blu fanno vibrare l’acqua, altri neri vi scrivono i vibranti delle barche, mentre il campo dell’immagine è dominato tutto dall’azzurro del cielo e del mare, con trasparenze rosate. Tutta l’attenzione dell’autore è rivolta alla luce di un sole nascente. Monet ribadì la sua intenzione di afferrare aspetto puramente sensoriale, l’impressione raccolta dalla retina.
Autore articolo: Angelo D’Ambra