Immigrati a Torino
Torino fu al centro di flussi migratori che raggiunsero dimensioni rilevanti negli anni del miracolo economico. Goffredo Fofi così ne analizzò certi aspetti su Il Ponte, La Nuova Italia, n.7/1962
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…Quando, dopo pochi mesi dall’arrivo dell’«uomo» segue la famiglia, il problema che si pone con maggior gravità è quello dell’abitazione. Nessuno può immaginare le difficoltà che esistono a Torino per gli immigrati meridionali nel trovare casa. La soluzione più normale fino a qualche anno fa è stata quella della soffitta ne centro, nella zona di Porta Palazzo, Via Po, e zone limitrofe, o delle vecchie case nei quartieri periferici, come Regio Parco, Lucento, la Barriera di Milano. Ma il centro è ormai pieno come un uovo, le soffitte sono esaurite, anche ad affitti di notevole entità, e sono sempre buchi umidi e malsani dove l’inverno si gela e d’estate si brucia. Abili pescicani hanno fiutato già diversi anni fa il buon affare ed hanno acquistato a cifre irrisorie interi pieni di soffiete, guadagnandoci poi con gli immigrati somme impressionanti. Gli uomini e i giovani soli hanno trovato alloggio in locane e pensioni dove pagano, vitto e alloggio, intorno alle cinquantamila lire mensili, – e tanti abitano presso famiglie che sistemando in una stanza libera sei-otto brandine hanno trovato il modo di risolvere i loro problemi finanziari ricavandone dieci-dodici mila lire ciascuna. Se le stanze sono due, si arriva ad un totale di circa centocinquantamila lire al mese! Gli appartamenti nuovi costano troppo; nel periodo del primo inserimento e anche opo sussistono pregiudizi e ostilità. Non si affitta a chi ha più di due figli, a chi non lavora in fabbrica, a chi è meridionale, a chi non fa questo, a chi non è quello. Prospera un sottomercato di speculazioni, di cui uno dei tanti esempi potrebbe essere lo sviluppo negli ultimi tempi delle agenzie di mobili appattate con vari amministratori di stabili nuovi: si trova la casa se si comprano a rate i mobili «moderni».
Trovata la casa (in pasato, ché ora è quasi impossibile, e proprio per questa ragione molti preferiscono ritornare ai paesi di origine o cambiare paese avviandosi a tentare la sorte altrove, a Milano, all’estero), si ritrovano in quartieri pieni di immigrati. da una parte questo dà un certo senso di protezione, un po’ è imposto dall’esterno, creando in definitiva poche possibilità d’incontro e di scambio con gli indigeni.
Un discorso a parte andrebbe fatto per certi aspetti dell’immigrazione a Torino, che sono poi i più appariscenti. I giovani e gli uomini soli, partiti molto spesso per Torino così alla ventura, senza seri punti di riferimento, trovano sistemazione nelle piccole locande intorno a Porta Palazzo. Molti di essi, però, vi restono solo provvisoriamente, in attesa di trovare il modo di far venire le famiglie, ma qualcuno entra a far parte di un gruppo di irregolari quasi per forza, dato il tipo di vita cui è costretto (e non dimentichiamo che i più sono giovanissimi, spesso sotto i venti anni di età). Sono essi che alimentano certi filoni di piccola delinquenza, e che si riducono spesso a vivere di espedienti o di lavori saltuari, a Porta Palazzo, ai mercati generali, in qualche impresa della zona. Le cifre della delinquenza minorile non sono granchè significative; non è lì che molti di essi ricadono, per precisi limiti di età. Dette cifre dimostrano comunque che la delinquenza aumenta in relazione al numero degli abitanti, senza una influenza più grave della immigrazione.
Queste situazioni di gruppi, di quartieri dove devono vivere gli immigrati, facilitano anche il mantenimento per un certo tempo di abitudini ed usanze che via via si perdono. Di queste ricordiamo ancora quella che fa più scadalo: il delitto d’onore. Giustamente i giudici di Torino non sono molto compiacenti ad accogliere le tesi dell’onore, come movente «di particolare valore morale e sociale».