Il rimorso di Nerone
Despota crudele e dissoluto, Nerone compì il più orrendo dei delitti, l’uccisione della madre. Agrippina fu fatta uccidere nel 59 d.C. da un gruppo di sicari, dopo che altri tentativi di eliminarla erano falliti. Afranio Burro, comandante del pretorio, fece credere a tutti che l’imperatore fosse stato oggetto di un attentato ordito dalla madre, la quale poi, scoperta, aveva voluto darsi la morte. Si trattò invece di un matricidio. Il delitto avvenne in una villa presso Capo Miseno, nel golfo di Napoli, un luogo di luminosa bellezza in tragico contrasto col crimine esecrando. Così, compiuto il misfatto, l’imperatore fu colto dall’angoscia e la sua mente fu funestata da incubi e ossessioni. Traiamo queste poche righe dagli Annali di Tacito.
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Compiuto il matricidio, Nerone ne comprese tutta la mostruosità. Per il resto della notte ora se ne stava chiuso in un impietrito silenzio, più spesso, balzando in preda allo spavento con la mente smarrita, attendeva la luce, come se questa gli dovesse recare rovina. Per iniziativa di Burro, fu incoraggiato dalle prime voci di adulazione dei centurioni e dei tribuni, che gli prendevano le mani e si rallegravano con lui perché era scampato all’improvviso pericolo dell’insidia materna. Cominciarono, poi, gli amici a correre ai templi e, dietro il loro esempio, i più vicini comuni della Campania con sacrifici e delegazioni tributarono a Nerone manifestazioni di gioia, mentre egli, con infingimento contrario, si mostrava addolorato e quasi contro di sé per l’incolumità sua, e piangente per la morte della madre. Tuttavia, poiché l’aspetto dei luoghi non muta come il volto degli uomini, era ossessionato dall’insopportabile visione di quel mare e di quelle spiagge, tanto che vi erano di quelli che credevano che egli udisse suono di trombe sull’alto dei colli circostanti e lamenti dal tumulo della madre.