Il Palazzo Ducale di Urbino
La stabilità politica e la vivacità culturale assicurate dal felice governo di Federico da Montefeltro ad Urbino, rese la città uno dei centri intellettuali del rinascimento italiano. Il duca, abile politico e stratega, ma anche principe umanista, raccolse attorno a sé letterati e artisti come Pietro della Francesca, Pedro Berruguete, Giusto di Gant e Francesco di Giorgio Martini, e si impegnò pure personalmente in progettazioni architettoniche che stimolarono un’intensa attività edilizia e diedero alla città un volto nuovo con un monumento simbolo: il Palazzo Ducale.
I Montefeltro possedevano in città una vecchia rocca trecentesca ed un palazzotto d’epoca successiva che Federico pensò di unire in un grandioso palazzo. “Questo [Federico] tra l’altre cose sue lodevoli, nell’aspero sito d’Urbino edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il più bello che in tutta Italia si trovi; e d’ogni oportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma de palazzo esser pareva”, lo scrive Baldassarre Castiglione, esaltando il suo signore. Il palazzo in effetti è enorme, soprattutto se paragonato alle dimensioni della città, ma la cosa sorprendente è che l’edificio si fonde nell’abitato tanto che, negli osservatori del tempo, si formò la convinzione dell’assoluta conincidenza tra l’uno e l’altro.
Dovuto in massima parte a Luciano Laurana, fatto “ingegniero et capo di tutti li maestri”, il 10 giugno del 1468, il palazzo sfida i dislivelli del terreno e raccorda perfettamente i due originari nuceli. E’ in laterizi e ha forme articolate che si adattano alla particolare conformazione della collina su cui poggia. I fronti, tra loro ortogonali che danno sulla piazza, non si discostano da quelli del tipico palazzo quattrocentesco con porte e finestre architravate e bugne in pietra a rivestire le facciate, è però inconsueto l’accostamento di tre portali sovrastati da quattro finestre. le pareti dovevano essere interamente rivestite di marmo travertino del Monte Nerone e coronate da merli ghibellini.
Il fronte che guarda la valle, invece, dove il dislivello del terreno è più forte, ha l’aspetto di mura urbane dominate dall’alta Facciata dei torricini, obliqua rispetto al resto del palazzo. I due torricini che orientano la città verso la via per Roma, dove Federico deteneva il ruolo di Capitano Generale delle truppe ponficie. Quelle due torri sono cilindriche e dotate di beccatelli. Terminano in guglie con copertura conica ed hanno abbandonato l’aspetto severo di quelle medioevali, ingentilendo il loggiato della facciata. Non hanno dunque né funzione né immagine offensiva, ma arricchiscono le quattro arcate del loggiato.
Proprio questo, sporgendo leggermente e penetrando nel corpo del palazzo con un impianto prospettico evidenziato dalle volte a botte e dal loro progressivo arretramento dal basso verso l’alto, tolgono ogni residuo aspetto bellico e realizzano l’idea umanistica della compenetrazione della costruzione con lo spazio libero. Dalle logge, infatti, in particolare dallo studiolo del duca Federico, che una di esse ospita, è visibile la sottostante vallata e le alture che la delimitano.
Altro aspetto rilevante dell’opera del Laurana sta nel cortile. Uno spazio rettangolare con un numero differente di arcate sui lati lunghi e sui lati corti. Sui lati lunghi se ne contano sei, su quelli brevi cinque. Ma variando anche l’intercolumnio, più ampio di pochi centimetri sui lati corti, il cortile appare quadrato e quindi immobile. I quattro lati si fondono non come una colonna unica, come nei cortili fiorentini, ma si accostano, ciascuno definito e conchiuso dalla parasta d’angolo. Ciò toglie al cortile un senso rottorio, conferendogli una statica solenne, rafforzata poi dalla luce che piove dall’alto.
A rafforzare un senso di maestà è poi l’iscrizione latina su due fasce orizzontali, sopra le arcate e sopra il piano superiore, in lode del duca: “Federico, Duca di Urbino, Conte del Montefeltro e di Casteldurante, Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa e Capo della Confederazione Italica, innalzò fino dalle fondamenta questa dimora a gloria sua e dei suoi posteri. Egli, che combatté più volte in guerra, sei volte guidò gli eserciti, otto volte sbaragliò il nemico, vincitore di tutte le guerre, aumentò il suo dominio. La sua giustizia, la sua clemenza, la sua liberalità la sua moralità uguagliarono e onorarono, durante la pace, le sue vittorie”.
Autore: Angelo D’Ambra