Il Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino

Su uno sperone roccioso delle pendici del Taburno, sorge un complesso monumentale imponente, in massima parte inaccessibile al pubblico: è il Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino, allestito nei due corpi del Castello di Montesarchio, struttura d’origine normanna che oggi appare nelle forme assunte in età aragonese.

Le sale presentano un percorso espositivo dei reperti di Caudium (Montesarchio), Saticula (Sant’Agata dei Goti), Telesia (San Salvatore Telesino) con corredi sepolcrali, crateri dipinti con motivi mitologici, fibule, accessori; un totale di circa trecento reperti che testimoniano la ricchezza e la complessità dell’area, interessata da intensi scambi commerciali con le città greche della costa e il mondo etrusco-campano. La prima sala accoglie sorprendenti reperti preistorici con punte di frecce ed utensili.

Frammentarie e sporadiche risultano le conoscenze delle presenze preistoriche nel sannio caudino. I pochi casi individuati riguardano soprattutto le sponde del fiume Calore. L’esteso sito neolitico de La Palmenta-Masseria di Gioia è la tesimonianza più interessante assieme alla necropoli di Santa Maria la Peccerella. Simili siti permettevano di sfruttare le risorse fluviali sia per gli spostamenti che per la produzione agricola. Di grande importanza sono stati gli scavi nell’insediamento della Piana di Sorgente Zimeo dove sono state messe in luce strutture abitative sigillate da colate con pomici dell’eruzione d’Avellino. Gli scavi hanno permesso di capire che solo a partire dalla fine dell’Età del Bronzo gli insediamenti vengono orientati sulla sommita di rupi e montagne che permettono una maggiore difindibilità. E’ questo è il caso di Santo Spirito, di Montesarchio e delle rocche fortificate di monte Acero e di Saticula. Colpisce una tomba a fossa terragna di forma rettangolare di una figura femminile sannita in posizione supina. La tomba è del VI secolo e mostra tutto il corredo vascola con accessori e ceramiche.

Le sale successive cotengono ancora armi e accessori come scodelle, askos, fusaiole, fiasche, coppe, anelli, bracciali fibule, reperti campani, greci, sanniti, romani, d’un periodo compreso tra la fine dell’ VIII e l’inizio del V sec. a.C.

Nella collezione compaiono ancora vasi di bucchero di importazione dall’Etruria o da Capua, vasi figurati di produzione attica con motivi guerrieri e mitologici, anfore e oinochoi per il vino provenienti da Caudium, Telesia e Saticula.

Tra tutti i reperti spicca il cratere con del ceramografo Assteas raffigurante il “Ratto di Europa” del V secolo a.C. La ceramica imprigiona con eleganza e raffinatezza le immagini di Zeus che, sotto forma di toro, rapisce Europa, figlia del re dei Fenici, sulle spiagge di Tiro. Sul retro è invece possibile ammirare Dioniso ed il suo corto. Assteas fu un noto ceramografo e ceramista greco, attivo a Paestum nel IV secolo a.C., ed in questa sua opera riuscì a mostrare tutte le sue abilità artistiche. Il vaso è stato infatto definito “il più bello del mondo” dagli studiosi d’arte.

Esso fu rinvenuto nel 1970 nella necropoli dell’antica Saticula e fu venduto da un tombarolo sul mercato antiquario per un milione di lire e un maialino; dopo numerosi passaggi sul mercato antiquario e la sua permanenza dal 1978 in una collezione privata svizzera, era stato acquistato nel 1981 dal Getty Museum di Malibu negli U.S.A. per 380.000 dollari. Le indagini dei carabinieri del Nucleo Difesa del Patrimonio Artistico hanno fatto in modo che nel 2007 il cratere è stato restituito all’Italia. Il vaso è stato esposto in vari luoghi del mondo ed è stato scelto come simbolo dell’Unione Europea. E’ stato anche esposto all’EXPO di Milano, di solito può essere ammirato nella Torre del Castello illustrato al visitatore attraverso video ed ologrammi.

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

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