Il mondo rom. Intervista a Sergio Franzese

Sergio Franzese svolge da anni un importante lavoro di ricerca sull’identità culturale di rom e sinti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti linguistici. Ha fatto parte del Comitato Promotore del Centro Studi Zingari ed ha dato alle stampe diversi lavori sul tema, come vocabolari, grammatiche, antologie di poesie e canzoni. Di recente ha collaborato al volume Rom Sam, šavále! The Gypsy Rules: I Rom Kalderáš tra tradizione e attualità. Gli abbiamo rivolto alcune domande sulla cultura romanì e lo ringraziamo per la disponibilità accordataci.

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E’ possibile tracciare una bibliografia italiana per far conoscere ai lettori le comunità zigane, storicamente e culturalmente?

 

Esistono numerosi testi in lingua italiana. Mi limito qui a citarne alcuni, iniziando da due titoli recenti. Il primo, I Rom. Una storia di Sergio Bontempelli, pubblicato nel 2022 da Carocci, ricostruisce la storia delle minoranze rom (e sinte) in Italia e l’evoluzione delle politiche loro rivolte da cui emerge un quadro che consente di problematizzare molte idee di senso comune. In particolare la storia degli ultimi decenni dimostra che i Rom e i sinti non sono un corpo estraneo o esotico, ma una “galassia di minoranze”, molte delle quali fanno parte a pieno titolo della società italiana e hanno contribuito a costruirla. Il secondo, Rom sam, šavále! – I Rom Kalderáš tra tradizione e attualità (di Jovanca Hudorovich e Sergio Franzese), pubblicato alla fine del 2023 in vendita su Amazon. L’autrice spiega in dettaglio usi e costumi della tribù rom che più di ogni altra ha mantenuto salda la tradizione e l’osservanza della legge romaní. Costituito da cinque capitoli, di cui due curati dallo scrivente, Rom sam, šavále!, insieme a Rom Sim. La tradizione dei Rom Kalderasha di Bruno Levak e Mirella Karpati, pubblicato nel 1984 da Lacio Drom costituisce l’unico saggio in lingua italiana dedicato a questo gruppo etnico. In La kriss. Legge e tribunale della popolazione romanì  (Book Sprint, 2013), Mirinda Ashley Karshan approfondisce il tema della kriss, il tribunale rom, di cui parlano anche Jovanca Hodorovich e Bruno Levak nei libri precedentemengte citati.

Gennaro Spinelli in Rom e Sinti. Dieci cose che dovresti sapere (People, 2022), e Santino Spinelli in Rom, genti libere. Storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto (Dalai Editore, 2012), Rom, questi sconosciuti. Storia, lingua, arte e cultura e tutto ciò che non sapete di un popolo millenario, (Mimesis, 2016) e Le verità negate. Storia, cultura e tradizioni della popolazione romaní (Meltemi, 2021), forniscono al lettore elementi di conoscenza della realtà rom. Santino e Gennaro, padre e figlio, musicisti oltre che scrittori, sono tra i principali attivisti fondatori e promotori di realtà associative per i diritti della minoranza romaní in Italia. Essi appartengono al gruppo dei Rom Abruzzesi, la cui presenza in Italia risale alla metà del XVI secolo.

Composto da contributi di diversi autori Romanò Barvalipen (Menabò, 2021) è il primo di una nuova collana scientifica sul mondo romanó. In questa pubblicazione Ian Hancock, Santino e Gennaro Spinelli, Marcel Courthiade,  Jeta Duka, Valdemar Kalinin, Jorge M. Fernández Bernal ci illustrano la lingua, la storia, la musica la letteratura, l’associazionismo e l’affascinante tradizionale arte divinatoria praticata dalle donne.

Altro autore di etnia rom abruzzese, oltre che valente artista (pittore e scultore), è Bruno Morelli, i cui libri, oltre a contenere informazioni di carattere universale, indagano sulla cultura del proprio gruppo di appartenenza: I pativ mengr. Il nostro onore: la lingua e le tradizioni dei rom abruzzesi (Centro Studi Zingari, 1998) scritto a quattro mani con Giulio Soravia, L’identità zingara. Riti miti magie racconti proverbi lingua (Anicia, 2006) ed Athìnganos-Zingari. Arte e baratto (Anicia, 2017).

In ambito storiografico Mille Anni di Storia degli Zingari, pubblicato nel 1978 da Jaca Book, è l’opera meticolosa di un ricercatore appassionato, François de Vaux de Foletier, che descrive con un susseguirsi di racconti e di aneddoti la millenaria storia del popolo rom e sinto. Da segnalare ancora, in ambito storiografico, Zingari dall’India al Mediterraneo di Donald Kenrick (Anicia, 1995) e Storia degli Zingari in Italia di Giorgio Viaggio (Anicia, 1997).

Un capitolo a sé è costituito dai libri dedicati al Porrajmós (o Samudaripén), l’”olocausto” che Rom e Sinti subirono durante il nazifascismo. La prima opera apparsa in italiano su questo tema, Il destino degli zingari, di Donald Kenrick e Grattan Puxon, venne pubblicata dalla casa editrice Rizzoli nel 1975. Spostandoci in avanti di un quarto di secolo, La lente focale. Gli zingari e l’olocausto di Otto Rosenberg, edito da Marsilio nel 2000, è una toccante testimonianza della persecuzione vissuta in prima persona da un sinto tedesco trasferito dapprima ad Auschwitz-Birkenau, dove incontra il dottor Mengele, poi a Buchenwald, infine a Bergen-Belsen, dove viene liberato. Otto, unico sopravvissuto della sua famiglia, si decise a raccontare la sua storia solamente dopo anni di silenzio. Lo studio più recente su questo infausto periodo storico ha come autrice Paola Trevisan e si intitola La persecuzione dei rom e dei sinti nell’Italia fascista: Storia, etnografia e memorie (Viella Libreria editrice, 2024). Nel libro Rom e sinti nella Resistenza europea (Upre Roma, 2022) Angelo Arlati ci ricorda che Rom e Sinti furono anche protagonisti della Resistenza.

Le prime opere prodotte sugli “Zingari” in Italia e nel resto d’Europa offrono al lettore il punto di vista di autori appartenuti ad un’altra epoca (metà e fine ‘800), esse ci restituiscono una testimonianza del passato e mettono allo stesso tempo in luce pregiudizi, stratificati da secoli, dai quali anche chi si occupava della questione dimostrava di non essere esente. Le possiamo leggere grazie a preziose ristampe anastatiche riprodotte agli inizi degli anni ‘70 dalla casa editrice Forni di Bologna: Origine e vicende de’ zingari di Francesco Predari (Tip. Paolo Lampato, Venezia, 1841) e Gli Zingari, storia di un popolo errante di Adriano Colocci  (Loescher, Torino, 1889).

Infine, a chi vuole approcciarsi al mondo rom attraverso la lettura con leggerezza consiglio il libro Mi hanno rapito gli zingari. Una storia vera, di Cristhian Scorrano e Marina Pirulli (Augh! 2020), il diario di un’avventura imprevista nella più grande comunità zingara d’Europa, Shuto Orizari, un racconto pieno di pathos, un susseguirsi di imprevisti e di situazioni che ricordano le scene del film Gatto nero Gatto bianco di Emir Kusturica.

Per ragioni di spazio mi fermo qui. Una bibliografia più estesa, suddivisa per argomenti, si trova al seguente link: https://www.sastajnas.it/bibliografia.htm

 

 

Proviamo a dare uno sguardo sulle comunità oggi in Italia. Quali sono i tratti caratteristici e quali problematiche affrontano?

 

Inizierei accennando alle radici storiche. La popolazione romaní, dopo essere partita dall’India all’inizio dell’XI secolo per ragioni tuttora sconosciute ed aver attraversato la Persia e l’Armenia, giunge alfine in Europa dove incomincia a diffondersi prevalentemente tra il XIV ed il XV secolo: Cipro, Grecia, Balcani e di lì in poi nel resto del continente e del mondo. Questa diaspora ha avuto come esito una ripartizione in quattro gruppi principali: i Rom (Europa orientale, Italia centro-meridionale), i Sinti (Europa occidentale), i Kalé, noti anche come Gitani (Penisola Iberica) e i Romanichals (Regno Unito).

Per quanto riguarda l’Italia essa è da sempre un crocevia di gruppi sinti e rom, da quelli di antico insediamento, stanziati nella penisola da oltre 5-6 secoli (Sinti: piemontesi, lombardi, veneti, marchigiani;  Rom: abruzzesi, calabresi, cilentani), quelli la cui immigrazione è più recente (Rom vlaχ: kalderáš, lovára, čurára, istriani, haváti) giunti in Italia all’inizio del secolo scorso e tra la prima e la seconda guerra mondiale, fino ai Rom balcanici (χoraχané, dasiχané, ecc.), giunti negli anni ’60 e successivamente negli anni ’90 in seguito alle guerre nella ex Jugoslavia. Infine i Rom rumeni, che costituiscono l’ultima ondata migratoria avvenuta a partire dagli anni ’90 dopo la caduta del muro di Berlino.

L’antropologo Leonardo Piasere ha definito la società zingara “un mondo di mondi”, realtà eterogenea nella quale ogni gruppo e sottogruppo segue le proprie tradizioni che evidentemente non può essere spiegata in in poche righe. Vi sono tuttavia aspetti condivisi da tutti o dalla maggioranza, ad esempio i legami famigliari, la venerazione per i defunti, il senso dell’onore.

L’unico vero denominatore comune sta però nel riconoscere la propria appartenenza in contrapposizione a guella dei “gagé” (non-zingari). Ciò fa sì che essi si identifichino per sottrazione rispetto alla società maggioritaria. Rom e Sinti faticano talvolta a riconoscersi come un unico popolo, sebbene negli ultimi decenni tra le generazioni più giovani sia in corso un processo di emancipazione politica ed una presa di coscienza. La condizione sociale ed economica dei Rom e dei Sinti è molto varia e così anche i problemi che una parte di essi deve affrontare, problemi che vanno dall’inserimento lavorativo all’abitazione. Tutti però, indistintamente, purtroppo sono oggetto di discriminazione. Molti mestieri tradizionali (calderai, commercianti di cavalli, fabbricanti di ceste di vimini, musicisti, chiromanti, ecc.) sono stati da tempo abbandonati, mentre resistono ancora, seppur tra molte difficoltà, i mestieri di giostrai e circensi praticati dai Sinti. Molti Rom e Sinti esercitano il commercio (automobili, metalli, orologi, ecc.), la raccolta del ferro, la raccolta stagionale della frutta. Altri si sono per così dire adattati a svolgere lavori di manodopera: operai, muratori, pulizie. Se molti Rom e Sinti sono integrati e per questo non si parla di loro, una fetta ancora significativa della popolazione romaní continua ad essere esclusa dal processo produttivo. Questa situazione determina uno svantaggio sociale che talora sfocia nel ricorso all’assistenza o nella criminalità ed è da queste situazioni che nascono i pregiudizi della società maggioritaria. Coloro che sono integrati si vedono spesso costretti a nascondere la propria identità per difendersi dalle discriminazioni. I campi sosta attrezzati, sorti negli anni ’70 alla periferia di molte città per regolamentare la presenza di Rom e Sinti e per rispondere ad un modello di società non stanziale, con la cessazione del nomadismo si sono trasformati nel corso degli anni in ghetti sovrappopolati e con servizi inadeguati. Ma sono in genere gli ultimi arrivati, nella fattispecie si tratta perlopiù di rom rumeni e, in misura minore, macedoni e bulgari, quelli che si trovano ad affrontare maggiori difficoltà di inserimento sia di tipo lavorativo che abitativo, gli stessi che finiscono sulle cronache dei giornali per atti di microcriminalità o per l’occupazione abusiva di case e che, pur non rappresentando tutta la comunità rom e sinta, alimentano lo stigma nei confronti dell’intera etnia. Un discorso a parte andrebbe fatto per ciò che riguarda fenomeni di criminalità organizzata di tipo mafioso, che coinvolge alcune famiglie rom del centro e sud Italia, tutti hanno sentito parlare del clan dei Casamonica o del clan degli Spada. Anche in questo caso si tratta di un numero limitato di famiglie che però incide in maniera pesantemente negativa su chi condivide lo stesso nome e che getta cattiva luce sull’intera comunità. A diffrenza di altre nazioni l’Italia non ha mai attuato una seria politica di integrazione e di tutela della comunità romaní, delegando all’associazionismo volontario interventi di prima assistenza, un associazionismo che non sempre ha operato in modo limpido. Pur parlando la lingua romaní, declinata in diverse varianti, Rom e Sinti non sono stati riconosciuti tra le minoranze linguistiche italiane meritevoli di tutela, il che costituisce un ulteriore tassello dell’emarginazione a cui essi sono assoggettati.

 

A proposito di lingua romanì. Quali sono le sue origini e caratteristiche?

 

La lingua originaria di queste popolazioni non ci è nota ma sappiamo che si cela tra le lingue parlate nell’India nord-occidentale intorno all’anno mille d.C. L’affinità della lingua romaní con alcune lingue neoindiane è stata dimostrata verso la fine del ‘700. Nel corso della migrazione dalle regioni indiane verso occidente essa si è arricchita di numerosi termini di derivazione persiana, armena, greca e slava e di prestiti più recenti dal romeno, dall’ungherese, dal tedesco e da altre lingue moderne. Dall’Impero Bizantino Rom e Sinti si mossero successivamente verso le regioni di lingua slava, come dimostra la presenza di termini slavi in tutti i dialetti. È ipotizzabile fino a quel momento l’esistenza di un numero limitato di varianti molto simili tra di loro, se non addirittura di una lingua comune.

La diaspora che seguì al lungo insediamento nella regione balcanica provocò un inarrestabile frazionamento della lingua romaní. Allo stato attuale, alcuni dialetti mostrano una maggiore influenza di romeno, ungherese, serbo, croato: si tratta soprattutto dei dialetti parlati dai Rom poiché la loro espansione è avvenuta principalmente nei Paesi dell’Europa Orientale. I dialetti parlati dai Sinti sono invece in più larga misura influenzati dal tedesco, in parte anche dall’italiano o dalle parlate regionali.

Sotto l’aspetto lessicale tutte le varianti conservano almeno il 60% di termini di origine indiana mentre sotto l’aspetto morfologico il romaní è una lingua di tipo agglutinante. I dialetti più conservativi hanno mantenuto la declinazione di sostantivi e aggettivi, altri l’hanno sostituita dall’uso di preposizioni.

La lingua “zingara” non fu comunque solo oggetto di studi, ma fu purtroppo anche oggetto di dure persecuzioni: in Spagna il re Filippo IV riesumando un testo del 1566 che considerava questo idioma come un “mezzo di tradimento”, proibì nel 1633 ai Gitani di parlare la loro lingua. Analoga proibizione fu decretata in Ungheria nel 1768 dall’imperatrice Maria Teresa, allo scopo di unificare i popoli dei suoi Stati e di integrare i “bohémiens”. Un nuovo divieto si ebbe sempre in Ungheria nel 1782.

Allo stato attuale essa è ancora praticata dalla maggior parte dei Rom e dei Sinti, sebbene vi sia una tendenza all’abbandono causato da un processo di assimilazione e di omologazione che investe soprattutto le generazioni più giovani. La situazione tuttavia cambia notevolemente da gruppo a gruppo, da nazione a nazione e mentre ad esempio i Sinti Piemontesi hanno praticamente sostituito la parlata locale, vale a dire il dialetto piemontese, alla propria lingua, altri, come i Rom Abruzzesi, i Rom kalderaš, i Lovára e i Čurára la mantengono viva nell’uso quotidiano. Nel caso dei Gitani spagnoli, la cui lingua era praticamente dimenticata, si assiste a fenomeni di recupero, iniziative che mirano a rivitalizzare la lingua che essi chiamano calò. I social media costituiscono anch’essi un’opportunità per dare spazio a espressioni in lingua romaní e spesso vengono usati anche a questo scopo.

La lingua romaní è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO il 5 novembre 2015 e da allora ogni anno in quella data si celebra la Giornata Mondiale ad essa dedicata. In Italia, come già detto, essa non gode purtroppo di alcuna forma di tutela, la sua valorizzazione e salvaguardia  sono demandate unicamente a iniziative di privati cittadini, Rom e “Gagé” (non-rom) studiosi della materia.

 

 

 

 

 

 

 

Intervista raccolta da Angelo D’Ambra. In copertina “Rom Xoraxané”, foto di A. Artuffo, 1983, gentilmente concessa da Sergio Franzese.

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