Il massacro di My Lai
Villaggio di My Lai, nella provincia di Quang Nai, in Vietnam, alba del 16 marzo 1968. Cinquecentoquattro civili disarmati finiscono trucidati dall’esercito statunitense in cerca di membri del Fronte di liberazione nazionale. Pur non trovando uomini dei Viet Cong, le truppe americane della Task Force Barker si scatenarono contro l’inerme popolazione.
Il tenente Willian Calley, che comandava la missione della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º Reggimento, 11ª Brigata della 23ª Divisione di Fanteria, ordinò che nessuno fosse lasciato in vita. Le donne furono violentate, i bambini uccisi senza rimorsi. Tutti i corpi furono gettati nei pozzi del villaggio, fatti poi esplodere con granate. Le capanne del posto furono ridotte in cenere, pure tutti gli animali furono uccisi.
Pochi soldati si rifiutarono di compiere quel crimine e tra essi ci fu il pilota di elicotteri Hugh Thompson, che era su un volo di ricognizione. Manovrò, atterrò e si frappose tra dei soldati ed un gruppo di undici vietnamiti, fatto di donne e bambini, salvandoli. Con i compagni della sua squadra, Glenn Andreotta e Lawrence Colburn, dovette minacciare i soldati di aprire il fuoco contro di loro se avessero continuato nella mattanza, prese poi gli undici e li portò in salvo.
Gli alti ufficiali cercarono in tutti i modi di nascondere l’accaduto. Un resconto ufficiale parlava di appena venti civili morti. Le cose iniziarono a venire a galla quando un veterano di guerra, Ronald Ridenhour, che aveva sentito parlare del massacro mentre prestava servizio, scrisse ai membri del Congresso ed al generale William Westmoreland facendo partire un’indagine interna che si concluse con una serie di gravissime accuse contro William Calley. La notizia fu resa pubblica ma la stampa non gli dette eccessivo peso. Si continuava a parlare di una violenza di molto ridimensionata rispetto alla realtà.
Presto però l’orrore finì pure sulla stampa. Era il 13 novembre dell’anno seguente quando il giornalista Seymour M. Hersh rivelò tutto al mondo. Inizialmente, i principali media non volevano dar spazio agli articoli di Hersh e il giornalista – che poi ricevette il Premio Pulitzer – fu costretto a distribuirli attraverso una piccola agenzia di notizie chiamata Dispatch News Service. Solo più tardi un articolo dettagliato sul massacro è apparso sulla rivista Life. Successivamente anche la rivista Newsweek ed il Time se ne occuparono. Gli articoli erano accompagnati da immagini scioccanti scattate dal fotografo Ron Haeberle che aveva partecipato alle operazioni come reporter ufficiale dell’esercito. L’opinione pubblica americana restò scioccata.
Erano state quattro ore di follia e sangue. Pare pure che, per risparmiare munizioni, un centinaio di vietnamiti fu gettato nel canale In totale, si dice che 504 persone siano morte, tra cui 182 donne, 17 delle quali in stato di gravidanza e 173 bambini. Solo quattro soldati furono portati davanti a un tribunale militare e, di essi, solo Calley fu condannato. Il massacro di My Lai non è stato l’unico massacro commesso dalle forze statunitensi, ma è stato quello che ha causato il maggior scandalo negli Stati Uniti e nel mondo. A quanto pare Calley aveva pianificato tutto per ottenere promozioni o decorazioni, presentando i civili uccisi come Viet Cong. Per mettere a tacere l’opinione pubblica sconvolta gli fu dato l’ergastolo, ma Calley non scontò mai alcuna pena. Stette agli arresti domiciliari per tre anni e fu successivamente graziato dal presidente Richard Nixon.
Autore articolo: Angelo D’Ambra