Il liberalismo cattolico di Rosmini

Nato a Rovereto nel 1797 e formatosi nel movimento cattolico reazionario quale ammiratore di de Maistre, Antonio Rosmini seguì una parabola filosofica simile a quella del Lamennais approdando ad un liberalismo cattolico cui dette voce per la prima volta in Nuova saggio sull’origine delle idee, del 1830.

L’opera, impregnata di filosofia kantiana, respingeva il tradizionalismo dei teorici della Restaurazione e tentava di gettare le basi di una nuova scolastica non tomistica. Profondamente ostile al regalismo austriaco, ne subì la censura ma continuò a sviluppare il suo pensiero e, nel 1832, concluse Le cinque piaghe della santa Chiesa. Le piaghe di cui parlava erano la divisione del clero dal popolo nel pubblico culto, l’insufficiente educazione del clero, la disunione dei vescovi corrotti da altre ambizioni e guadagni, la nomina dei vescovi in mano al potere statale, la servitù dei beni ecclesiastici in favore delle offerte libere, della rinuncia ai privilegi e della pubblicazione dei bilanci. Queste piaghe avevano una sola e comune origine, cioè il feudalesimo. Rosmini scriveva in proposito: “Il feudalesimo fu l’unica , o certo la principalissima fonte di tutti i mali; perocchè essendo egli un sistema misto di signoria profana e barbara, e insieme di servitù e vassallaggio a’ principi temporali, in quant’è signoria, egli divise il Clero dal popolo (Piaga I), e in due parti, che chiamaronsi ingiuriosamente alto e basso Clero, sostituendo alla relazione di padre e figlio, che l’annodava, quella di signore e suddito che lo disnoda; onde la negletta educazione del Chiericato (Piaga II), e quindi ancora entrata la divisione nell’alto Clero, cioè ne’ Vescovi fra di loro, dimentichi della fraternità, memori della gelosia signorile sì per proprio conto che pel conto del principe, al cui vassallaggio appartenevano, rimanendo così ciascuno Vescovo e separato dal popolo, e sequestrato dall’intero episcopato (Piaga III); in quant’è poi servitù, il feudalismo, assoggettati i Vescovi personalmente al Signor temporale come fedeli e uomini suoi, incatenò ignominiosamente la Chiesa con tutte le cose sue al carro del laicale potere che la tascinò per tutte quelle balze e precipizi, nelle quali esso, in suo corso irregolare e fallace, va sovente rompendosi ed inabissandosi, e dopo mille avvilimenti e mille sciagure, spoglia a man salva de’ ricevuti dominii, ella trovasi così sfinita di forze da non saper pure conservare e difendere a sé stesso la nominazione de’ proprii pastori (Piaga IV)”. Infine il feudalesimo, trasformano i beni ecclesiastici in feudi, fu causa anche dell’ultima piaga.

In sostanza Rosmini auspicava una riforma della Chiesa in un senso politico-disciplinare segnato da alcuni elementi delle costituzioni borghesi come la pubblicità dei bilanci. Non pensava invece ad una separazione dallo Stato che per lui sarebbe dovuto restare cattolico. L’opera fu mandata in stampa a Lugano solo nel 1848, senza il nome dell’autore. Rosmini però andò egualmente in contro a numerose censure e problemi con altri suoi scritti. Gli eventi di quell’anno lo videro entusiasta partecipe. Scrisse alcuni Progetti per lo Stato pontificio, fiducioso nel liberalismo di Pio IX, pubblicò poi la Costituzione secondo la giustizia sociale con un Saggio sull’Unità d’Italia. Infine, assunse un incarico per conto del governo sabaudo presentandosi a Roma per ottenere un concordato e la promessa di un impegno contro l’Austria. Tutto sembrò andare per il meglio, ma poi Pio IX operò un mutamento di condotta totale, ritirò l’appoggio alla coalizione antiaustriaca e, minacciato dai rivoluzionari, fuggì a Gaeta votandosi ad un rigoroso conservatorismo. Rientrato a Roma, Pio IX abolì la costituzione, ripristinò la pena di morte che era stata soppressa, ripristinò l’isolamento degli ebrei nel ghetto…

Nel maggio del 1849 le Cinque piaghe furono inserite nell’Indice dei libri proibiti, allora Rosmini si sottomise senza ritrattazioni al decreto di condanna e il 2 novembre 1849 fu costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore, a Stresa, dove restò sino alla morte, avvenuta il 1º luglio 1855.

A trentadue anni dalla sua scomparsa, col decreto del Sant’Uffizio “Post Obitum”, Leone XIII condannò ben quaranta proposizioni contenute nelle opere del Rosmini in quanto “non conformi alla verità cattolica”. La riabilitazione avvenne solo con il pontificato di Giovanni Paolo II.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Candeloro, Il Movimento Cattolico in Italia

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