Il giullare nel Rinascimento
Il giullare è una figura chiave nelle corti rinascimentali italiane. In merito, ritorniamo a sfogliare La corte di Ludovico il Moro, opera di Francesco Malaguzzi Valeri.
[…] Per dilettare principi e principesse, non mancarono mai presso gli Sforza i buffoni, piacevoli inventori di burle e di lazzi, facili narratori di novelle e lettori di sonetti. I buffoni ebbero una parte importante nella società signorile della Rinascenza italiana: papa Leone X tanto li amava che l’Aretino era in dubbio se più gli piacessero “le virtù de’ dotti o le ciance di buffoni”, concludendo che “la buffoneria è vita et anima de la corte”.
Qual parte propriamente dovesse essere riservata al giullare in quelle corti aristocraticamente elette, appassionate ad ogni dimostrazione estetica, classicamente raffinate e originali, noi non potremmo con qualche precisione sapere, nonostante le notizie disseminate un po’ dovunque e nonostante che la lurida figura dei giullari e dei nani appaia, come una stonatura, nei quadri e nelle miniature squisite di quel tempo, se un testimone d’allora non si fosse preso cura di dircelo.
Tommaso Garzoni, vissuto in pieno Cinquecento, ci narra dunque, che le tavole signorili sono più ingombre di buffoni che d’alcuna specie di virtuosi; quivi il buffone narra storie bizzarre e comiche, fa lo spaccamonti, “è magnifico nel porgere, è spagnuolo nel gestire, è tedesco nel camminare, è fiorentino nel gorgheggiare, è napolitano nel fiorire, è modenese nel fare il gonzo, è piemontese nel languire: è la scimmia di tutto il mondo nel parlare e nel vestire”. Contraffà fisionomie e voci di persone note, fa lazzi e capriole, inventa giuochi per tener allegra la brigata, ma soprattutto deve a sua volta sopportare in santa pace – è pagato anche per questo – le burle, qualche volta crudeli, dei signori, alle sue spalle.