Il genocidio degli armeni: origini e cronologia

L’attuale governo turco, come una parte del mondo accademico, tende a minimizzare, più che i numeri, le responsabilità ed il reale coinvolgimento del Movimento dei Giovani Turchi, al comando dell’impero ottomano dal 1908 fino alla sua dissoluzione nel 1918, nel genocidio armeno. Eppure le evidenze storiche sono chiare.

Origini

Gli armeni, in quanto cristiani, come gli ebrei, godono nel mondo arabo e musulmano dello status di “dhimmi”, di protetti, ma questa protezione ai non musulmani ha il suo rovescio della medaglia: un vero e proprio status di umiliazione, come precisa il Corano alla Sura IX, versetto 29, a proposito delle “djizya” (una delle imposte specifiche pagate dai dhimmi): «Combatteteli fino a che paghino la djizya, dopo essersi umiliati» (Georges Bensoussan, Gli ebrei nel mondo arabo).

Gli armeni che, fin dall’antichità classica vivevano in Asia minore e nel Caucaso, nel Medioevo finirono, per la gran parte, sotto il dominio musulmano (arabo poi turco) vivendo in una relativa pace fino al XIX secolo quando la loro condizione si deteriora. Durante  gli anni 1840-1860, nel periodo chiamato “Tanzimat”, tra il 1839-1876 durante il quale vengono attuate riforme liberali e moderniste per rallentare il declino dell’impero ottomano, si assistette ad una progressiva anarchia amministrativa causata dal rifiuto dei notabili locali musulmani di una amministrazione centralizzata che limitasse la loro autorità assoluta, dalla maggiore importanza riconosciuta a capi e ordini religiosi e da un afflusso di immigrati musulmani generato dalla crisi dei Balcani e dal conflitto con la Russia. Si ebbe anche il rifiuto dell’applicazione dei rescritti imperiali che hanno lo scopo di promuovere l’uguaglianza tra musulmani e non musulmani. L’insediamento dei rifugiati musulmani, in particolare, avvenne in un clima di risentimento verso gli armeni. Di fatti essi costituivano la parte più dinamica e prospera dell’impero e divennero bersaglio dell’intolleranza sfruttata a fini economici dai capi religiosi musulmani che reclamavano l’esproprio delle loro terre.

La situazione precipitò con l’avvento al trono del sultano Abd ul-Hamid il quale fece dell’islamismo l’ideologia ufficiale della corte di Istanbul, rinnegando sia il Tanzimat che il Trattato di Berlino del 1878 nel quale si impegnava a rispettare gli armeni avviando una serie di riforme.

Questa svolta ideologica avvenne in un momento di grave crisi militare ed amministrativa del dominio ottomano ed ebbe un duplice scopo: affermare la supremazia musulmana nell’impero legando al potere centrale la classe locale dei notabili che era stata ostile al Tanzimat e, contemporaneamente, chiarire alla minoranza non musulmana di non oltrepassare i limiti che le erano imposti dalla sua condizione di sudditanza.

L’incapacità delle grandi potenze di intervenire nella questione armena, a causa soprattutto dei loro enormi investimenti economici nell’impero ottomano, portò gli armeni a costituire forze politiche con lo scopo embrionale di un sistema di autodifesa. I turchi ne approfittarono per giustificare la loro politica sempre più repressiva.

 

Prove di genocidio: i pogrom del 1894-1896

Il governo del sultano Abd ul-Hamid escogitò una soluzione modello: all’inizio dell’estate 1894 fece massacrare da 4.000 – 6.000 contadini armeni della regione montuosa del Sasun perché rifiutavano la doppia imposizione fiscale dello stato e dei notabili curdi. A ciò seguì, l’anno dopo, l’uccisione di un pari numero di armenti a Trebisonda e Costantinopoli. Tali azioni omicide scatenarono altri massacri nelle sei province imperiali dove gli armeni costituivano la maggioranza, con il culmine nel giugno 1896 nella regione di Van dove sparirono 350 villaggi.

Le cifre delle vittime e dei danni materiali furono pesantissime: vennero uccisi da 200.000 – 250.000 armeni, devastati 2.500 villaggi e città, distrutte 645 chiese e 328 trasformate in moschee. Migliaia di armeni furono convertiti con la forza all’Islam.

Secondo lo storico francese Bernard Bruneteau affinché tali pogrom possano essere considerati sterminio mancano «un’ideologia globalizzante e scientifica che vada al di là del semplice dovere islamico di combattere gli infedeli, l’intenzione di far scomparire un’intera comunità al di là di rimetterla semplicemente al suo posto, manca il coordinamento a livello centrale per il massacro lasciato ai notabili e alla violenza cieca delle popolazioni e soprattutto il contesto e l’occasione per perpetrare il genocidio».

Fu il governo del Movimento dei Giovani Turchi a creare le condizioni per il genocidio vero e proprio.

I Giovani Turchi si fecero portatori di un’ideologia più estremista. Feroci critici dell’islamismo di Abd ul-Hamid, che non era riuscito ad impedire la secessione di albanesi e macedoni, né a distogliere gli intellettuali arabi dalla Nadha (rinascita), il sogno di ricostituire un grande regno che era il progetto politico che la famiglia hascemita dell’Iraq stava portando avanti, essi erano imbevuti di pantunaresimo di Yusuf Akcura che introdusse i principi del darwinismo sociale (ripresi dagli ideologici nazisti per il progetto del genocidio degli ebrei) postulanti uno stato forte  che si opponesse «alle ambizioni dell’Occidente cristiano, alle mire espansionistiche slave e alle rivolte nazionali nell’impero che sono manifestazioni di un processo di selezione naturale che rende necessaria l’adozione da parte dei turchi di un sistema politico che dia loro la forza di resistere». Bisognava eliminare ogni influenza straniera avvertita come un corpo separato e pericoloso, bisognava eliminare gli armeni.

 

Il genocidio

Il casus belli che scatenò il genocidio fu la disastrosa sconfitta dei turchi nella battaglia di Sarikamish (22 dicembre 1914 – 17 gennaio 1915) che portò Enver Pasha ad imputare di tradimento gli armeni, addossando loro la responsabilità della sconfitta.

Il genocidio armeno si articola storicamente in quattro fasi che vanno dall’aprile 1915 al giugno 1916:

1) aprile – maggio 1915: vengono eliminati i dignitari e i militari armeni;

2) aprile – giugno 1915 (in contemporanea con la fase 1): vengono sterminati i notabili dei villaggi, i membri dei partiti armeni e tutti gli uomini validi ed in età per servire nell’esercito. È una carneficina lento perché non tutti vengono uccisi subito ma durante le deportazioni verso i campi di concentramento in Siria (fase 3);

3) estate – autunno 1915: la popolazione civile (870.000) viene deportata verso i campi di concentramento in Siria;

4) ottobre 1915 – giugno 1916: grande sterminio di civili che si conclude con il massacro dei 2000 orfani di Deir ez-Zor (Siria) dei quali alcuni vennero fatti saltare in aria con la dinamite, altri bruciati vivi.

Dei 1.200.000 – 1.500.000 armeni nell’impero ottomano, 300.000 riuscirono a trovare scampo nell’impero russo, gli altri 1.200.000 furono fucilati, bruciati vivi, affogati – 100.000 nell’Eufrate , fatti morire di fame, sete durante i pogrom, le marce e la detenzione nei campi di concentramento in Siria.

 

 

 

Autore articolo: Vincenzo Zazzeri, appassionato di storia militare romana, della Guerra Civile americana e delle due guerre mondiali.

In copertina: il Khachkar di San Gregorio Armeno. Foto di Rodolfo Armenio

Bibliografia: Bernard Bruneteau, Il secolo dei genocidi; Joel Kotek e Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio: 1900-2000; Lawrence Sondhaus, La Prima Guerra mondiale. Una rivoluzione globale, cap. XII; G. Lewy, Il massacro degli Armeni. Un genocidio controverso.

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