Il Ducato di Savoia alla morte di Carlo III
Carlo III morì nella notte del 16 agosto del 1553, a Vercelli, lasciando il Ducato di Savoia in condizioni gravi. Lo stato era sommerso dai debiti ed in balia delle armate francesi che ne avevano occupato buona parte del territorio. I possessi effettivi dei Savoia si erano infatti ridotti a Nizza, Vercelli, Cuneo, Fossano, Ivrea e la Valle d’Aosta.
Saputo della morte del padre, Emanuele Filiberto, allora comandante dell’esercito imperiale in Fiandra, s’era affrettato a spedire in Piemonte uno suo fedele sodale, il conte di Chatellard, suo primo gentiluomo di camera. Il conte portò precise direttive a Renato di Challant, primo ufficiale del ducato che aveva assunto la direzione del governo.
Tuttavia anche i nemici avevano aguzzato gli artigli e s’erano mossi con solerzia per divorare ciò che restava del ducato: nel novembre di quell’anno, con un tradimento, il soldato Pietro Antonio di Pontestura aprì le porte di Vercelli ai francesi. Gli uomini del maresciallo Brissac invasero la città, fecero prigioniero Renato di Challant, ammazzarono il conte di Chatellard e s’impadronirono del castello, senza che Tommaso Valperga di Rivara, suo governatore, opponesse grande resistenza (per l’inetto Valperga, Emanuele Filiberto dispose un mandato di cattura). Solo la cittadella, ben difesa dal colonnello Battista dell’Isola, riuscì a salvarsi. L’intervento dei soccorsi inviati da Ferrante Gonzaga da Milano allontanò i francesi, ma la situazione complessiva non mutò.
Il governo era privo del suo capo, l’emissario del duca non c’era più ed il tesoro di Carlo III venne saccheggiato. La moglie di Challant, Mencia di Braganza, figlia di Dionigi di Portogallo, conte di Lemos, provò a tenere le redini del governo, in particolare nell’area valdostana, ma era tutto divenuto estremamente arduo e problematico. La contea di Aosta, ma anche quella di Nizza, versavano in serie complicazioni economiche e difensive e non c’era un’opinione condivisa sul come reagire.
Le notizie peggiori forse provenivano da Nizza. Emergevano dissapori fa il governatore del castello, Fra Paolo Simeone dei Balbi di Cavoretto, priore di Barletta, e il comandante del presidio, il colonnello Stefano Doria, signore di Dolceacqua, e la gabella del sale, principale ricchezza della città e maggiore entrata dello stato sabaudo, non era più rispettata. Da tempo un privilegio dei Duchi di Savoia era il chiudere l’ingresso al sale che non proveniva da Nizza. Questo privilegio fu spezzato dai genovesi che s’approfittarono della morte di Carlo III e della debolezza del ducato per infrangere gli accordi e introdurre sale in Piemonte senza che Ottaviano Cacherano d’Osasco, conservatore della gabella di Nizza, potesse impedirlo.
Emanuele Filiberto allora inviò come suo emissario Andrea Provana di Leynì. Questi si fermò a Milano e più volte chiese l’intervento di Ferrante Gonzaga, ma la mancanza di mezzi e denari inibiva ogni iniziativa milanese, poi raggiunse Vercelli dove assegnò il governo dello stato al conte di Masino, infine viaggiò prima in Valle d’Aosta poi a Nizza.
I valdostani, nel 1542, preoccupati dalla bellicosità francese e dall’incapacità del duca Carlo III a soccorrerli, erano riusciti ad ottenere il riconoscimento della loro neutralità dal re di Francia. Un secondo trattato di neutralità l’avevano ratificato nel 1552, ma le nuove trattative s’erano impantanate perché ora i francesi contavano di indurre Challant, loro prigioniero, a consegnare i suoi castelli. Leynì animò i valdostani a resistere offrendo loro soli e soccorsi, furono raddoppiate le guardie ai passi, impedito l’accesso alla valle a chi era privo di passaporto, espulsi i forestieri ed infine si inviò a guidare le operazioni di difesa il colonnello Battista dell’Isola.
I nizzardi vivevano una situazione gravissima: c’erano folli tensioni perché ai soldati del castello si dovevano sette paghe mentre quelli della città, sotto Stefano Doria, le ricevevano con regolarità. Leynì s’impegnò, non senza problemi, a garantire alcuni pagamenti e calmò certe diatribe, assunse pure il comando del castello perché il Priore di Barletta, molto ammalato, riparò a Milano, e si premurò di suggerire al conte di Masino d’appaltare la gabella del sale al migliore offerente affinché fosse rispettata, ma l’orizzonte tornava ad incupirsi a fine anno con la caduta di Ivrea in mano ai francesi.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: A. Segre, L’opera politico-militare di Andrea Provana di Leynì nello Stato sabaudo dal 1553 al 1559