Il conte di Lemos, il viceré mecenate
Il nome di Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, ricorre frequentemente nelle opere di Lope de Vega, suo segretario, di Luis de Gongora, di Cristobal de Mesa, di Esteban Manuel de Villegas, di Alonso de Salas Barbadillo. Il conte fu un gran mecenate ed un letterato lui stesso. Lope de Vega poteva ne lodò l’animo elegante e poteico nei suoi versi: “Esilo superior, divina mano, / pluma sutil de peregrino corte, / arte divino, contrapunto en llano”. Persino Cervantes, che già gli aveva dedicato la seconda parte del Don Chisciotte della Mancia, in punto di morte, gli consacrò ancora una sua novella: Persiles y Sigismunda. Giulio Cesare Cortese vedeva in lui “quillo conte che fa guerra A la nmidia e a lo tiempo” , un esempio dei valori cavallereschi e rinascimentali, perfetto uomo del suo tempo.
Pedro Fernandez di Castro giunse a Procida nel giugno 1610, destinato alla carica di viceré del Regno di Napoli. Non era nuovo ad importanti cariche amministrative perchè nel 1603 era stato designato a presiedere il Consiglio delle Indie, ma fu la potenza di suo suocero ad aiutarlo nella sua brillante carriera. Aveva infatti sposato Caterina Gomez de Sandoval y Rojas, figlia di Francisco de Sandoval y Rojas, il duca di Lerma, l’uomo più potente e ricco del regno di Felipe III, il prediletto del re.
Tommaso Costo scrisse che il Lemos era venuto “con fama d’esser signore intendente, letterato ed amato di persone simili, e d’esser di buona e retta intenzione”. Queste attese non furono smentite. Il conte, il 3 maggio del 1611 fondò l’Accademia degli Oziosi, che fu solita riunirsi nel chiostro della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli con i suoi illustri membri: Giovan Battista Manso, Giovan Battista Marino, Giovan Battista della Porta, Giovanni Andrea Di Paolo, Giulio Cesare Capaccio, Francesco de’ Pietri, il cardinale Gaetani, Ascanio Filomarino, futuro arcivescovo di Napoli, Tommaso Campanella, Giambattista Basile, l’abate di Montecassino Vittorino di Maio. Il conte insomma si circondò dei più raffinati intelletti del suo tempo e, quando vi aderì pure il poeta madrileno Francisco de Quevedo, fu a tutti chiaro che Napoli era il cuore culturale del vasto impero spagnolo.
Pedro Fernandez de Castro si interessò fortemente dell’Università degli Studi Regi di Napoli, aiutato dal cappellano maggiore Gabriele Sanchez de Luna e dal suo confessore Diego de Arce, dottissimo francescano, raccoglitore di libri e manoscritti di cui arricchì il convento di San Francesco di Murcia. Fino ad allora le lezioni si erano tenute in giro per la città, nei vari chiostri cittadini, ma il conte finanziò un nuovo edificio appositamente destinato agli studi e rimodernò il sistema dell’insegnamento e delle cattedre. Per la nuova sede dell’ateneo il vicerè si affidò al noto architetto Giulio Cesare Fontana che avviò la ristrutturazione della vecchia cavallerizza situata fuori la porta di Santa Maria di Costantinopoli. Il risultato fu l’oderina sede del Museo Archeologico di Napoli, dove il conte inaugurò anche la prima biblioteca del Regno di Napoli, che fu anche la prima nella penisola italiana, sul modello di quella di Salamanca: le cattedre furono divise in perpetue e in quadriennali, il tomismo era il fulcro dell’insegnamento, la lettura di teologia era affidata ai domenicani, furono poi introdotti i concorsi che sostituirono la nomina governativa.
Non fu affatto estraneo alle faccende amministrative e finanziarie – non è un caso che l’economista napoletano Antonio Serra gli dedicò il suo celebre ” Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere” -, infatti il Lemos guidò una riforma finanziaria finalizzata ad eliminare brogli e frodi contabili, ruberie degli esattori, usura ed evasione. Preoccupato anche delle condizioni delle popolazioni delle province e dell’agricoltura regnicola, promosse la costruzione dei Regi Lagni, fondamentale opera di bonifica della pianura campana condotta nei secoli XVI e XVII. I lavori interessarono i territori paludosi attraversati dall’antico Clanis, dove imperavano pestilenze e malaria. I lavori ancora una volta furon affidati al Fontana e interessarono il basso Volturno, Nola e Afragola, il Vesuviano fino ai Campi Flegrei, l’antica zona indicata dai romani come Campania Felix. L’opera di bonifica realizzò canali e collettori per le acque, rettificando il corso del Clanio, alimentato oltre che dalle acque pluviali, anche dalle acque di Mefito, Calabricito e del Somma.
Lasciò Napoli il 9 luglio del 1616, nominato Presidente del Consiglio d’Italia.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: P. Giannone, Dell’istoria civile del regno di Napoli