Il Concilio di Firenze
Martino V aveva un sogno, la riunificazione con l’Oriente cristiano. Suoi emissari intavolarono trattative per la riunificazione della Chiesa cattolica con quella ortodossa e, tra il 1422 e il 1430, ci furono una serie di ambascerie tra Costantinopoli e Roma, affidate a frati francescani. Poco prima della sua morte, indisse il Concilio dell’Unione ed Eugenio IV, che lo seguì con gli stessi propositi, decise di tenerlo a Ferrara. Lo scoppio della peste indusse a spostarlo a Firenze.
Le due chiese erano rappresentate, i cattolici dal cardinale Giuliano Cesarini e gli ortodossi dal basileus Giovanni e dal Patriarca Giuseppe II. Le trattative furono molto difficili, ma segnate dal fermo proposito cattolico di arrivare ad un risultato positivo. Furono così versati assegni mensili a tutti convenuti, all’imperatore Giovanni VIII, al despota Demetrio, al Patriarca di Costantinopoli ed ai rappresentanti degli altri patriarchi orientali, ai vescovi, ai metropoliti, ai canonici di Santa Sofia affinché restassero.
Nel 1439 venne proclamata l’unione tra le due chiese con la proclamazione, nella Basilica di Santa Maria del Fiore, della bolla Laetentur Coeli. Così racconta la vicenda l’umanista Vespasiano da Bisticci, nella sua Vita di Eugenio IV papa: “Et un dì solenne venne il pontefice con tutta la corte di Roma et collo imperadore de’ Greci, et tutti e’ vescovi et prelati latini in Sancta Maria del Fiore, dov’era fatto un degno aparato, ed ordinato il modo ch’aveva a istare a sedere i prelati de l’una Chiesa e dell’altra. Istava il papa dal luogo dove si diceva il Vangelio, e’ cardinali, e’ prelati della Chiesa romana, dall’altro lato istava lo ’mperatore di Gostantinopoli con tutti e’ vescovi, arcivescovi greci. Il papa era parato in pontificale, e tutti e’ cardinali co’ piviali, et i vescovi cardinali colle mitere di domaschino bianco, e tutti e’ vescovi così greci come latini colle mitere del bocaccino bianco et parati, e’ vescovi latini co’ piviali, e’ Greci con abiti di seta al modo greco molto richi, et la maniera degli abiti greci pareva assai più grave et più degna che quella de’ prelati latini. Cantò il papa una missa solenne, et infra la messa si lesono i privilegi fatti dell’unione de’ Greci con grandissima solennità, et quivi promissino in futuro non discordarsi dalla Chiesa romana come avevano fatto per lo passato, et soscrisesi in su questi privilegii lo ’mperadore, e tutti e’ principali erano tra loro, non vi si trovò il patriarca loro, perchè, sendo già rimasti d’acordo, et avendo consentito amalò, et in pochi dì si morì, riconciliato colla Chiesa romana. Il luogo dell’imperadore <era> in questa solennità dove si canta la pistola a l’altare magiore, et da quelo medesimo luogo, com’è detto, erano tutti i prelati greci. Eravi concorso tutto il mondo in Firenze, per vedere questo atto sì degno. Era una sedia al dirimpeto a quella del papa da l’altro lato, ornata di drappo di seta, et lo ’mperadore cor una vesta alla greca di brocato domaschino molto rica, cor uno capeletto alla greca, che v’era in su la punta una bellissima gioia: era uno bellissimo uomo colla barba al modo greco. Et d’intorno alla sedia sua erano molti gentili uomini aveva in sua compagnia, vestiti pure alla greca molto ricamente, sendo gli abiti loro pieni di gravità, così quegli de’ prelati, come de’ secolari. Mirabile cosa era a vedere con molte degne cirimonie et i Vangeli si dicevano in tutta dua le lingue, greca et latina, come s’usa la notte di pasqua di Natale in corte di Roma”.
Il 22 novembre dello stesso anno Eugenio IV sottoscrisse un accordo con la Chiesa apostolica armena cui, più tardi, seguirono gli accordi con Giacobiti, Nestoriani e Maroniti. Tutto ciò fu accompagnato da grandi festeggiamenti a Roma. L’evento finì raffigurato sulle porte di bronzo della Basilica di San Pietro ed Eugenio IV nominò cardinali Giovanni Bessarione di Trebisonda ed Isidoro di Kiev.
La corte allora si aprì all’influenza culturale bizantina, ai suoi temi iconografici, ai suoi gusti letterari. Proprio Bessarione, volendo salvare l’immenso patrimonio della cultura greca, raccolse numerose opere che altrimenti non sarebbero mai pervenute in Occidente, costituendo una ricca biblioteca, articolata su due scriptoria, poi donata, nel 1468, a Venezia.
L’ingresso trionfale dell’Imperatore Giovanni VIII Paleologo a Firenze, in occasione della proclamazione della bolla Laetentur Coeli, fornì ad un’intera generazione di artisti l’esempio di luci, colore e sfarzo per raffigurare trionfi ed entrate, per primo a Benozzo Gozzoli autore della Cavalcata dei Magi del Palazzo Medici Riccardi di Firenze in cui compare l’Imperatore su un cavallo bianco.
In realtà, questo accordo non fu mai ratificato, più che altro si trattò del tentativo dell’imperatore bizantino di ottenere un aiuto dall’Occidente contro i turchi. La situazione politica dell’impero era infatti tragica, i turchi ormai erano prossimi a Costantinopoli e l’imperatore era pronto a sottoscrivere l’unione tra le due chiese pur di ottenere dal papa una crociata. Gli alti dignitari ecclesiastici bizantini sostennero che per dirimere certe questioni occorreva un concilio tra le parti puramente teologico e non così palesemente mosso da intenti politici. Già a Firenze, chi non fu d’accordo con l’intesa che si stava raggiungendo, preferì allontanarsi. Alla fine si ottenne un accordo dottrinale sulla processione dello Spirito Santo, il purgatorio, l’eucarestia e il primato romano, ma, già al ritorno a Costantinopoli della delegazione bizantina, i vescovi orientali lo rifiutarono clamorosamente, con Bessarione ed Isidoro additati come apostati. In ogni caso anche l’alleanza politica fallì dal momento che la crociata contro i turchi si risolse nella sconfitta di Varna, nel 1444.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: J. Gill, Il Concilio di Firenze