Il ceto dei togati nella Napoli spagnola
I cambiamenti che si registrarono a Napoli nel cosiddetto “periodo spagnolo”, in particolare nell’età degli Asburgo, comportarono l’inaspettata ascesa del ceto dei togati, giuriesperti che posero basi solide per gli equilibri politici ed istituzionali del regno.
Il potere dei baroni e quello ecclesiastico fu prosciugato con un’accanita lotta che portò ad un singolare accentramento, armonizzato nel parlamentarismo locale. Possiamo definire il sistema ispanico come strutturato su un’articolazione pluricentrica incentrata sui legum doctores, un’organizzazione complessa che si materializzava e si muoveva attraverso i Consigli, un impianto socio-politico unico che metteva al vertice i giuristi. Costoro erano dal vertice la iurisdictio e svolgevano, nei vari possedimenti, le veci di un sovrano assente, ma presente nell’immaginario politico come dispensatore di giustizia e difensore della cristianità.
Ciò comportò l’irruenta ascesa del ceto dei togati, gli unici, in quanto esperti di diritto, ad essere in grado di frenare lo strapotere baronale ed ecclesiastico ed al contempo le derive del potere monarchico verso il dispotismo. Si ricordano per la loro importanza “le cappe nere” Roberto Maranta, Antonio Capece, Gaspare de Deo, Annibale Troisio, Giovan Tommaso Minadoi, Giovan Francesco Scaglione, Prospero Caravita, Sigismondo Loffredo, il cardinale cosentino Pietro Paolo Parisio, Giacomo d’Ajiello, Fabio Monteleone, Ludovico Carerio, Pietro Follerio, Cesare Lambertino,Vincenzo Massilla, Benedetto Canofilo, Tommaso Grammatico, Scipione Capece, Alessandro d’Alessandro, Bartolomeo Camerario. L’attività di mediazione svolta dai giuristi rimaneva quindi un elemento fondamentale nel governo dei diversi regni, in particolare di quello di Napoli, dove i togati ebbero un’enorme influenza sul Consiglio Collaterale che affiancava il viceré.
I letrados, questi giuristi d’estrazione e formazione borghese, raggiunsero i vertici dello stato con il viceré Pedro da Toledo, aprendo uno scontro vincente con i milites, ossia gli aristocratici che ancora guardavano allo stato come un’istituzione da piegare in virtù di equilibri di forza e pattizi.
Così Francisco Elías de Tejada poteva asserire: “Lo sviluppo degli studi giuridici raggiunge la piena maturità nella generazione che va da Alessandro d’Alessandro a Marino Freccia, tanto per l’attenzione posta nel ponderare le leggi patrie – con tutto ciò che vi era, ed era molto, della naturale sottigliezza del genio napoletano – quanto per la progressiva penetrazione dell’umanesimo nell’ambito giuridico, intento all’accurata valutazione storica delle istituzioni.
La ricchezza del numero dei giuristi è veramente straordinaria. L’elenco degli esperti di diritto supera da solo numericamente quello di tutti gli altri rami della cultura messi insieme. Né la poesia, né la filosofia, né la storia, né la riflessione politica sono così coltivate come la scienza del diritto…A tale fioritura contribuì l’agio col quale si svolsero gli studi universitari al tempo di Ferdinando il Cattolico e di suo nipote. Salvo nei due anni dell’assedio di Lautrech, dal 1527 al 1529, e durante la peste del 1531, le aule universitarie nel convento di San Domenico furono regolarmente aperte. Si spese con larghezza per l’insegnamento.. Altro fattore propulsivo del lustro giuridico fu costituito dalle riforme dei tribunali attuate da Don Pedro de Toledo, protettore di questi e, di conseguenza, dei togati, a parere di Pietro Giannone. Con la riduzione dei nobili ai vincoli legali e con la fine della precedente anarchia, durante la quale ognuno si faceva giustizia da solo, i contrasti tra le grandi casate cambiarono terreno e si trasferirono dalle contese armate alle dispute con i codici. Così la nobiltà finì per appassionarsi alle liti giudiziarie, via di uscita a dissapori secolari, che ormai non si potevano regolare con la spada, perché i vicerè sapevano con fermezza assoggettare tutti all’imperio delle leggi.
Per motivi analoghi crebbe il prestigio dei giuriesperti e il loro ruolo sociale. In conseguenza di ciò essi furono chiamati al governo e gli incarichi più illustri del Paese passarono nelle mani degli esperti di diritto. La toga elevata a segno di nobiltà nella misura in cui quelli che la portavano sostituivano i nobili nei posti di maggior rilievo…”.
Autore articolo: Angelo D’Ambra