Il Castello di Lecce
Il documento più antico che menziona un castello a Lecce è la Reparatio Castrorum redatta sotto Federico II che precisava come la manutenzione del castrum Licii dovesse gravare sulla comunità cittadina. Tracce più antiche sono però emerse dagli scavi archeologici: residenza medievale dei Conti di Lecce, il castello sorse sul lato orientale della città in età normanna, in corrispondenza delle mura urbane. L’originale struttura era di gran lunga più piccola di quella odierna, era circondata da un fossato ed annoverava appena un corpo centrale a base quadrangolare affiancato dalla Torre Magistra, dalla Torre Mozza, da una perduta torre tonda e da un rivellino.
La documentazione si fa più cospicua negli anni degli Orsini del Balzo, che nel castello vissero dopo la morte di Maria d’Enghien ed il passaggio della contea al figlio Giovanni Antonio Orsini del Balzo. Risulta che il maniero avesse una cappella ed una biblioteca ed una leggenda narra della presenza di un orso bianco nel fossato. Quanto è possibile vedere però è il frutto del imponente restyling cinquecentesco.
Carlo V, infatti, a partire dal 1539, volle una completa ristrutturazione del castello affinché Lecce fosse ben protetta da probabili incursioni degli ottomani ma anche da eventuali future guerre coi francesi. La fortezza venne così munita di nuove opere difensive che meglio rispondevano alle esigenze belliche dell’epoca. Il responsabile dei lavori fu Giangiacomo d’Acaya, Ingegnere Generale del Regno, che diede alla costruzione delle chiare forme rinascimentali.
Col suo perimetro il Castello di Lecce risulta il più esteso castello pugliese, un grande quadrilatero con il lato orientale più lungo di quello occidentale e con quello meridionale leggermente obliquo rispetto al settentrionale. Coi lavori di Giangiacomo d’Acaya la precedente costruzione medievale scomparve inglobata nel nucleo interno mentre un’imponente cortina muraria andò a collegarsi ai quattro bastioni a punta di lancia, il Bastione della Santissima Trinità, il Bastione della Santa Croce, il Bastione San Martino ed il Bastione San Giacomo, e consegnò al castello una pianta trapezoidale più adatta al sistema difensivo basato sul tiro radente connesso all’introduzione delle armi da fuoco.
La Porta Reale, rivolta verso la città, permetteva l’accesso mediante un ponte levatoio mentre sul lato orientale, appariva la Porta del Soccorso. L’una e l’altra porta conservano ancora le feritoie attraverso cui passavano le catene e le aste dei ponti levatori. L’ingresso di Porta Reale è difeso dal corpo di guardia, un ambiente rettangolare voltato a botte che dà accesso al nucleo residenziale, alla Cappella di Santa Barbara ed alla piazza d’armi da cui uno scalone a due rampe conduce al grande salone del primo piano.
Le indagini archeologiche nella cappella, risalente alla fine del Cinquecento e dunque non attribuibile al progetto di Giangiacomo d’Acaya, hanno messo in luce cortine murarie e piani pavimentali medievali, nonché le vecchie cucine. Nel cortile invece hanno portato alla luce le testimonianze più antiche del castello, ceramiche di produzione locale e orientali, monete bizantine, databili tra l’XI ed il XII secolo. Sono pure emerse delle fosse granarie d’età angioina. In età aragonese invece avvenne invece la realizzazione dello spazio della piazza d’armi con la costruzione di un pozzo collegato, tramite conduttura idrica, ad una grande cisterna. All’interno della cortina muraria cinquecentesca si trova poi il passaggio che conduceva i cavalli e le guarnigioni nel piano interrato delle gallerie che collegano i bastioni angolari del castello in cui sono visibili le bocche da fuoco.
Col declinare della minaccia turca, l’intera capillare opera di fortificazione voluta da Carlo V andò decadendo e così pure il Castello di Lecce che andò perdendo la sua funzione militare e divenire quasi esclusivamente un carcere. Il castello vide ridursi nel Seicento la sua guarnigione appena ad una cinquantina di soldati e nel 1689 il presidio fu definitivamente soppresso per lasciare posto al Tribunale della Regia Udienza, mentre l’antico fossato diveniva la cloaca della città.
Gli ambienti cinquecenteschi della Torre Magistra e della Sala del Trono presentano pochi dettagli decorativi, viceversa sicuramente molto interesse suscitano le prigioni.
Qui furono rinchiusi carcerati illustri, uomini e donne d’ogni rango sociale per reati contro lo stato, reati di carattere finanziario, politico, reati moralmente deplorevoli. Poste sotto la Torre Mozza esse sono ricoperte di graffiti e bassorilievi lasciati dai carcerati, iscrizioni di stemmi araldici, figure umane, accuse, nominativi e pure due scritte in ebraico. Attraverso queste incisioni si sono riconosciuti gli stemmi dei Grimaldi, Del Balzo, degli Enghien, dei Maremonti e degli Acquaviva d’Aragona. Il Barone d’Acaya, che a Lecce costruì oltre al castello anche l’Ospedale dello Spirito Santo, la Regia Udienza ed il Convento di Sant’Antonio, qui completò la sua vita. L’11 agosto 1570 fu Giangiacomo d’Acaya fu arrestato a causa di una fideiussione sottoscritta a favore del fiorentino Roberto Pandolfini che poi risultò insolvente con il Regio Fisco. Né la sua protesta, né quella della sua famiglia poterono cambiare la sua sorte, Giangiacomo morì nel dicembre di quell’anno dopo quattro mesi di prigionia, qui, nel castello dai lui stesso costruito.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: AA.VV., Il Castello di Carlo V a Lecce