I Savoia a Brindisi
Quando Re Vittorio Emanuele III trasferì lo Stato da Roma a Brindisi…
Nel pomeriggio del venerdì 10 settembre 1943, l’ammiraglio Luigi Rubartelli, comandante della piazza militare della marina di Brindisi, ricevette un messaggio via radio che lo invitava ad andare incontro alla corvetta “Baionetta”, ormai prossima al porto con l’incrociatore “Scipione Africano”. Non immaginava che a bordo di quella imbarcazione avrebbe incontrato Vittorio Emanuele III con la Regina Elena, il principe Umberto, il capo del governo Badoglio ed alcuni dei ministri e ufficiali italiani, imbarcati da Ortona.
Poco prima delle tre del pomeriggio la corvetta diede fondo nel porto esterno di Brindisi e venne subito raggiunta dal motoscafo dell’ammiraglio Rubartelli. Con quello sbarco veniva posto un sicuro mattone per la ricostruzione dell’Italia sulle macerie dello sfacelo politico e di una guerra ancora in corso. In quel tragico momento della storia nazionale, Brindisi, libera dai tedeschi ed ancora non raggiunta dagli Alleati, accoglieva il primo governo.
La città cullò insieme sia i sogni di quanti agognavano una nazione democratica sia quelli di chi sperava di conservare il più possibile del vicino passato. Furono cinque mesi di permanenza necessari a ridare alle istituzioni statali organizzazione e slancio funzionale dopo l’annuncio di un armistizio che aveva portato immobilismo e confusione. Brindisi fu la capitale di una nazione sofferente e ridotta a pezzi, ma speranzosa e non arrendevole. A Brindisi furono varati provvedimenti essenziali per la rinascita del Paese, la città rappresentò la continuità dello Stato. Si cercò di ricomporre l’ormai sfaldato esercito italiano; fu costituito un nuovo governo; furono ristabilite l’attività diplomatica italiana, sia con l’Inghilterra e gli Stati Uniti che con l’URSS, e la libertà di stampa.
Nessuna cerimonia, nessun clamore, solo una sobria cena poi il riposo notturno negli alloggi del primo piano della palazzina di Rubartelli. Così trascorsero la loro prima notte a Brindisi i sovrani d’Italia. Non avevano portato nulla, tutto ciò che avevano, lo avevano indosso. I padroni di casa ed il principe di Piemonte si sistemarono al pianterreno, ed un sommario servizio di sicurezza fu disposto da Paolo Puntoni, aiutante di campo del Re, e Pietro d’Acquarone, Ministro onorario della Real Casa, intorno alla nuova dimora dei Savoia.
La permanenza della famiglia reale in città passò quasi del tutto inosservata. Vittorio Emanuele III tenne in quei mesi gran riservo, la sua vita brindisina fu lontana dai riflettori. Qualcuno poteva vederlo passeggiare di buonora al mattino lungo i giardini del Castello Svevo dove si trovava la palazzina di Rubartelli, tutto qui. Riceveva i generali, gli alleati, ma sempre in casa. Ebbe complessivamente pochi incontri mondani o comunque pubblici. La regina Elena, al contrario, fu vista più e più volte, soprattutto durante iniziative di beneficenza cui si prodigava con entusiasmo. Spesso si recava in visita all’orfanotrofio tenuto dalle suore di San Vincenzo, le Figlie della Carità, in piazza Duomo, con generosi doni.
Vittorio Emanuele III, in compagnia del Principe Umberto, diverse volte fece visita ai superstiti reparti italiani dell’esercito e ai quartieri popolari e quanto si spiegava davanti ai suoi occhi aveva purtroppo i colori di un dramma. Come si può immaginare, la vita a Brindisi non era semplice in quelle settimane. Il popolo era colpito dalla penuria di cibo, dalla chiusura delle fabbriche, dalle notizie di guerra e dalla presenza, a volte ingombrante, dello Stato Maggiore Italiano e degli Alleati che espropriarono persino piccoli appartamenti costringendo i proprietari ad abbandonare tutto senza neppure avere il tempo di prendere i loro più cari averi.
La stessa famiglia reale viveva il dramma del momento in prima persona per la sorte della della giovane principessa Mafalda, prigioniera dei tedeschi e di lì a poco ammazzata. Durante una messa in onore della Madonna di Loreto, celebrata all’aeroporto militare di Brindisi, l’arcivescovo De Filippis diede conforto ai reali lì presenti, scoppiati in lacrime.
La permanenza a Brindisi del re e del governo durò sino alla fine di febbraio 1944. I sovrani si stabilirono poi a Ravello, ospiti nella villa dei De Sangro, mentre la presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’Interno si trasferirono a Salerno, lasciando a Taranto, Lecce e Bari rispettivamente la Marina, la Guerra e l’Aeronautica.
Ci sarebbero però voluti altri venti mesi di Resistenza, sacrifici, atti d’eroismo, migliaia di vite e l’impegno degli anglo-americani per liberare il Paese.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: Brindisi “Capitale”. La vita in città: ricordi e testimonianze, di Francesca Mandese.
Il Re e la Regina, nonché il Principe Umberto, risulta che facessero la spola fra Brindisi, San Vito dei Normanni (presso il Principe Gerardo Dentice di Frasso) e Maglie (LE), dal Senatore Vincenzo Tamborino Frisari. Tutto ciò forse per ragioni di sicurezza. Stranamente tutti gli storici non fanno cenno a tutto questo.