I ricordi di Remo Renato Petitto, tra fascismo e carlismo
In un precedente articolo è già stato citato un volontario carlista italiano che combatté durante la guerra civile spagnola, Alfredo Roncuzzi (1905-1999). Questo nuovo contributo cercherà invece di presentare qualche nota su un altro tradizionalista italiano: il Conte Renato Remo Petitto di San Salvatore, nato a Frascati il 3 febbraio 1890 da Mariano ed Elena Grandi, avvocato, giornalista cattolico, reduce della grande guerra e combattente nella Cruzada.
A Roma, nell’aprile del 1933, Fernando Bustamante intervistò il nobiluomo per la testata carlista Tradición e lo definì «una delle figure più rilevanti del legittimismo italiano», aggiungendo: «mi parve per la sua amabilità e intelligenza un vero spagnolo». In quel colloquio, l’intervistato dichiarò: «La nuova gioventù spagnola, che è sorta durante la rivoluzione, non deve più guardare al triste esempio dei parlamenti, bensì ispirarsi al valore e all’eroismo di S.A.R. Don Alfonso Carlo [1849-1936] e Donna Maria delle Nevi [1852-1941] durante la guerra carlista. Entrambi con la loro gioventù di allora, sono un ritratto vivo di generosità e nobiltà». E alla domanda: «Conoscete qualche figura della nostra Comunión?» rispose: «ho conosciuto [Víctor] Pradera [1872-1936], mio stimato amico il quale ha avuto la gentilezza di dedicarmi un suo prezioso libro, tutto scienza ed erudizione, Dios vuelve y los dioses se van [1923]».
La quarta edizione di Chi è? Dizionario degli italiani d’oggi (1940), riporta che Petitto «ha propugnato in articoli e libri in Italia e in Inghilterra un pensiero di puro legittimismo monarchico e di estrema destra, ed è stato tra i fondatori del Principe, del Sabaudo e dell’Impero. Ha scritto anche di letteratura e viaggi e dato al teatro la commedia Il mio erede sei tu», una farsa in tre atti, riduzione di Les héritiers Rabourdin (1874) di Emile Zola, risalente al 1923. Nella sua breve carriera di drammaturgo, a quel copione si somma la commedia del 1941 Fabrizio 1919, che lui, «collaboratore antemarcia del Popolo d’Italia», presentò in una sua lettera come la descrizione «attraverso una vicenda completamente di fantasia [di] quel complesso di sentimenti, gusti e disgusti che lo hanno portato ad aderire al regime fra i primissimi».
Il 28 novembre 1925 La Nouvelle Revue di Parigi pubblicò una recensione di Philippe de Zara (1893-1984) al libro di Petitto Legittimismo (1923) «augurando che l’interessante volume sia presto fatto conoscere ai francesi da qualche editore francese e, rilevando come oggi il “nuovo” non venga più dai paesi nordici ma dai paesi latini», con un ardito parallelo tra la novità politica e filosofica offerta dal testo preso in esame e «il nuovo artistico» di Pirandello.
Il manifesto ideologico del nostro autore è però il volume Aristocrazia custode (con una appendice sul patriziato nello stato fascista), pubblicato a Brescia nel 1931 dall’editore Vittorio Gatti (1886-1977), all’interno della Biblioteca storico-politica diretta da un suo amico, il Barone «neolegittimista» Alessandro Augusto Monti Della Corte (1902-1975). Nella parte introduttiva del libro, Petitto chiarisce che per lui la “legalità” deve esprimersi non in un legittimismo giuridico e formale, ma storico e morale, cioè l’ordine legittimo fatto da Dio col Re e la famiglia cattolica, fondato sulla legalità diplomatica (sostanzialmente la legittimità d’origine fusa allo spirito nazionale) e sul rispetto di principi filosofico-religiosi (legittimità di esercizio). Nessuno, secondo il romano, può negare la legittimità «locale» dei Borbone, dei Lorenesi o degli Estensi, ma queste casate spodestate conservavano i loro diritti da un presupposto (a suo avviso) antigiuridico: la divisione della Penisola. A giudizio dello scrittore, quindi, la casa di Savoia andrebbe riconosciuta come dinastia legittima poiché ha compiuto l’unificazione, e la presa di potere del Duce avrebbe dovuto essere l’esordio della vera restaurazione: alla soluzione del «dissidio romano» con i patti lateranensi avrebbe dovuto seguire gradualmente la piena attuazione della monarchia anti-parlamentare e anti-liberale. Lo studioso auspicava perciò la realizzazione di un sistema organico che difendesse le libertà di tutti e collocasse ogni uomo in una gerarchia di ordini sociali secondo le sue capacità. La seconda parte del saggio delinea l’aristocrazia come integrazione del potere regio: nobiltà significa mettersi al servizio del popolo per l’onore di servirlo, aristocratico è chi guarda prima al bene pubblico che al proprio, ed è verso questa direzione che l’iniziativa editoriale di Monti Della Corte mirava a rieducare il patriziato italiano. Non manca un po’ di ruralismo: il nobile che si trasferisce a corte o in città sarebbe destinato a infiacchirsi, meglio temprarsi nei borghi di campagna.
Nelle considerazioni storiche che compongono l’opera, è spiegato che già prima della rivoluzione francese la nobiltà era stata soppressa dal centralismo e dall’assolutismo, tuttavia la ricca borghesia capitalista dell’epoca industriale si era allontanata dal popolo ancor più del nobile debosciato del decadente Settecento. Per Petitto l’aristocrazia doveva riaffermarsi collettivamente come corpo sociale nel fronteggiare le necessità presenti e future, assumendosi i suoi doveri militari e di custodia dell’ordine, evoluzione degli antichi doveri feudali.
Poco dopo la sua uscita, Aristocrazia custode fu anche commentato da Julius Evola su La Vita Italiana. Il filosofo contestò duramente il concetto del patrizio come “servitore del popolo” e della permeabilità del corpo nobiliare, che – quando necessario – dovrebbe ampliarsi accettando nel suo seno i meritevoli (evidentemente il Barone non deve aver amato il patriziato della Repubblica di Venezia). Evola difendeva infatti una sua personale visione del mondo improntata su un sistema di caste chiuse e individui superiori, prodotto del suo duplice razzismo scientifico e “spirituale”; inoltre tacciò Aristocrazia custode di guelfismo e contestò il primato della tradizione cattolica, inconciliabile con le tesi esposte in quel suo libro inconsistente e violento che è Imperialismo pagano (1928).
Oggi una certa polemistica digitale di scarso livello insiste sull’incompatibilità tra il fascismo e ogni nostalgia borbonica o antirisorgimentale, ma tali affermazioni sono smentite dalle biografie di numerosi personaggi che si avvicinarono con fiducia al movimento di Mussolini. Petitto, debitore alle opere politiche degli scrittori cattolici antiunitari, ne è un esempio intellettuale. Analizzando la storia del Risorgimento, l’aristocratico riteneva che la «risurrezione della patria» avrebbe dovuto percorrere la strada della legittimità, secondo le indicazioni di Clemente Solaro della Margarita (1792-1869), ma purtroppo la dinastia sabauda fu costretta a buttarsi sul sentiero della rivoluzione col Conte di Cavour. Parole che a loro tempo suscitarono il biasimo di Eugenio Curiel (1912-1945), ma che rientrano comunque in una critica reazionaria che resta sempre entro l’argine di una inossidabile fedeltà alla casa di Savoia e di un acceso nazionalismo. In veste di presidente dell’Associazione Culturale Italiana degli Amici della Finlandia, nel 1942, Petitto scrisse: «L’italiano ricomincerà mille volte il Risorgimento piuttosto che sentire minacciata la sua indipendenza materiale o spirituale, e nessuna potenza di armi o di veleni sovvertitori potrebbe farlo rassegnare a rivestire le livree altrui, o a permettere che altri, anche se potentissimo, voglia ridurlo ad essere un semplice agricoltore. Padrone in casa sua nel senso più completo, padrone del suo pane e delle sue armi, padrone dei suoi commerci e del suo pensiero, il nostro popolo si sta assoggettando a sacrifici durissimi per impedire qualsiasi egemonia visibile o invisibile, paurosa o sorridente», e nello stesso articolo – con una notevole forzatura – paragonò l’indipendenza dei finnici al trionfo dei carlisti sui repubblicani: «La vittoria fu, come venti anni dopo per i requetés spagnuoli, vittoria di contadini che volevano la difesa delle loro tradizioni, la difesa dell’ordine legale e della libertà personale, e che nel bolscevismo vedevano peggio che la morte, la sottomissione ad un’utopia ripugnante».
La fine della seconda guerra mondiale vide Petitto sconfitto come fascista, e la vittoria repubblicana al referendum del 1946 lo privò anche del governo di un re, il modello di vita che aveva sempre difeso nei suoi scritti. Ciò non gli impedì, senza perdersi d’animo, di impegnarsi come attivista per il Partito Monarchico, battaglia politica che lo coinvolse fino al termine dei suoi giorni. Scomparve il due agosto 1978, e riposa nel cimitero del Verano.
Tra le sue varie collaborazioni giornalistiche, il Nostro fu anche direttore del quindicinale L’alleanza italiana, nato nel gennaio del 1944, che, anche dopo il ’68, continuò a porsi come obiettivo «la realizzazione dei principii cattolici nella politica italiana, e […] la Consacrazione dello Stato al Sacro Cuore di Cristo Re ed al cuore immacolato di Maria».
Ai giorni nostri, per l’evidente tara della loro ipoteca ideologica fascista, le pubblicazioni dottrinali di Petitto sono irricevibili per i carlisti contemporanei, che condannano questi errori. Vale però la pena completare questo breve profilo con la trascrizione di un articolo del giornalista cristiano, redatto in memoria di Donna Maria Delle Nevi, che era stata l’esempio di virtù che egli aveva proposto come cura contro le derive della modernità. Analizzando il testo si può notare come l’autore metta in evidenza la distanza tra il Carlismo e il governo di Francisco Franco, che lo aveva anzi indebolito. Significativo anche il giudizio pessimista espresso sul secondo conflitto mondiale (sorprendentemente non cassato dalla censura bellica dell’epoca), letto come l’autodistruzione di quell’«uomo bianco» a cui Kipling (secondo la mentalità colonialista ed eurocentrica della sua epoca) aveva attribuito il «fardello» della civilizzazione del mondo.
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Una regina in esilio (ricordi personali)
Renato Remo Petitto
La radio di sabato ha annunciato che le Altezze Reali i Principi di Piemonte avevano assistito a Roma nella Chiesa del Sudario ad una cerimonia in suffragio di una prozia della principessa, una Infanta di Spagna nata Braganza.
Non poteva trattarsi che di Donna Maria de las Nieves, l’ultima legittima Regina di Spagna in esilio. Ho provato a telefonare a qualche amico; nessuno ne sapeva niente. Ma i giornali hanno poi riportato che si trattava appunto della Principessa Maria delle Nevi. Senza dettagli, senza indicare luogo e data della morte, senza spiegare chi era o quali diritti rappresentava. E non sappiamo se si sia spenta nella triste casa della Theresianumgasse a Vienna, oppure nel suo Castello di Pucheim. Veramente non proprio nel castello, nelle scuderie, perché il castello era stato affittato per potere riuscire a pagare le tasse. Come tutti i rami reali che non sono venuti a patti con la rivoluzione (o Rivoluzione), anche Donna Maria de las Nieves, tanto come figlia dell’ultimo legittimo Re di Portogallo, quanto come vedova dell’ultimo legittimo Re di Spagna in esilio, viveva in decorosa indigenza, appena mascherata dalla devozione degli amici e degli stessi domestici, a cominciare dal fido Eliseo, l’aiutante di camera del compianto Don Alfonso Carlos.
Ma è giusto che anche io mi spieghi meglio. Come è noto, oltre un secolo fa, nel 1833, Fernando VII [1784-1833] di Spagna moriva lasciando il trono abusivamente alla figlia Isabella [1830-1904], invece che al fratello Carlos [V (1788-1855)]. Questo arbitrio divise in due opposti campi i monarchici, e dette origine alle guerre carliste, quattro, perché anche l’ultima guerra civile spagnuola fu guerra carlista per i valorosissimi requetés che l’hanno preparata, voluta, combattuta e vinta per scacciare i sovversivismi, tutti i sovversivismi, diretti e indiretti, riuscendovi, come tutti sanno, solo in parte, anzi restando fusi e schiacciati e con il mondo ancora da salvare.
In Spagna il trono di fatto passò dunque a un ramo cadetto, e lo stesso avvenne in Portogallo dove Don Miguel [1802-1866] fu scacciato; egli aveva sei figlie, una, la più giovane, è la Duchessa di Parma [, Maria Antonia di Braganza (1862-1959),] madre del Principe Luigi [1899-1967] che ha sposato Maria di Savoia [1914-2001], altre quattro sposarono dei principi reali cadetti, e la maggiore era appunto Donna Maria de las Nieves (in portoghese Maria das Neves) nata nel 1852, sposata nel 1871 a Don Alfonso Carlos fratello di Don Carlos [VII (1848-1909)] che, dal 1931 al 1936, morti il fratello e il nipote Don Jaime [1870-1931], fu capo della Dinastia Borbonica e Re legittimo in esilio di Francia e di Spagna. Matrimonio felice, una luna di miele durata sessantacinque anni tra sposi entrambi pii, affezionati e fedelissimi; ma senza figli; con loro purtroppo il ramo Carlista si è estinto; per la Spagna è stato lasciato a custodia dei diritti un nipote, il Reggente Principe Saverio di Parma [1889-1977], Reggente e non Pretendente, altra figura pura e valorosa, ma troppi interessi opposti e contrastanti si sono accordati per impedirgli di lavorare. In Portogallo il ramo legittimo dei Braganza tuttora sussiste, ed ha il suo Pretendente in Dom Duarte [1907-1976].
Donna Maria de las Nieves ha avuto il suo periodo più felice alla Terza Guerra Carlista del 1872-76; accanto allo sposo essa si espose a mille pericoli; e di quella guerra essa fu non soltanto l’eroina, ammirata e rispettata perfino dai nemici, ma pure lo storico, perché le Mis Memorias da lei lasciate sono anche pressoché unica fonte di notizie per molti di quegli avvenimenti. Ebbi l’onore di esserle presentato, in terra d’esilio, nel 1934; entrambi i Principi erano forti nonostante la grave età e le bufere sopportate; entrambi parlavano in italiano; Don Alfonso Carlos l’aveva imparato a Modena – sua nonna era l’indimenticata Maria Beatrice [1792-1840] figlia primogenita di Vittorio Emanuele I [1759-1824] di Savoia – e a Roma dove era stato zuavo pontificio a Porta Pia; Donna Maria de las Nieves era vivacissima, intelligentissima, dalla femminilità adorabile, di incantevole regalità. Conservo di lei, e dell’augusto consorte, lettere autografe, libri e fotografie dedicati che sono carissimi fra i miei cimeli.
La vidi ancora una volta a Vienna nel 1936, quando mi ci recai per il trigesimo dei funerali di Don Alfonso Carlos; forte nel dolore, e sempre piena di energia e di vita nel suo corpicino minuscolo e tutto brio. Erano con lei le sorelle [Maria Antonia] Duchessa di Parma e [Adelgonda] Contessa di Bardi [1858-1946], e la nipote Isabella di Parma che durante la guerra di Spagna nell’Ospedale Alfonso Carlos di Pamplona è stata ammirevole per dedizione e resistenza nell’assistere i requetés feriti, e tra questi il fratello Gaetano [di Borbone Parma (1905-1958), altro carlista italiano] che [arruolato nel tercio di Navarra] fu colpito [da una scheggia di granata al collo il 9 maggio 1937] alla presa di Bilbao.
L’ultima sua lettera la inviò per ringraziare di un indirizzo di omaggio firmato anche da vari requetés e margaritas (così sono dette le donne carliste dal nome della pia prima moglie di Don Carlos [VII], Margherita di Parma), requetés e margaritas che erano a Roma di passaggio a un corso di perfezionamento per maestri elementari. Giunse una risposta deliziosa, una lettera che l’augusta Signora aveva scritta da sé (neppure nell’estrema vecchiaia aveva potuto permettersi il lusso di un segretario), un po’ in italiano, un po’ in francese, un po’ in spagnolo, tutta incanto e vivacità come la sua autrice, e ne restammo tanto grati e commossi.
Nella sua casa, commercialmente parlando non c’erano forse oggetti di gran valore; i gioielli li aveva venduti per potere inviare doni ai requetés combattenti; ma c’erano tanti ricordi e oggetti di grande valore affettivo; speriamo che essi siano stati preservati dalle dispersioni, e il meglio sarebbe che venissero riordinati e raccolti nel Museo Carlista di Pamplona, tra i bravi Navarri, che li saprebbero onorare e proteggere. E a Pamplona speriamo che possano riunirsi anche i cimeli – almeno quelli che non hanno valore materiale – lasciati a Freshdorf da Don Jaime. Non è vero, Don Manuel? Non è vero Don Ragael? E voi, Alberto, Ignazio, Antonio? Insieme tante volte abbiamo reso omaggio a quei Principi augusti, politicamente incontaminati*.
Ora la spoglia piccola e leggera della vostra ultima legittima Regina sarà stata riunita nella Cappella di Pucheim accanto a quella dell’ultimo legittimo Re. Mentre il mondo intorno a noi si inabissa sempre più e si inebria del suo fango, e la razza bianca si autodistrugge in un furore suicida, noi possiamo soltanto portare tributo di preghiere a Coloro che furono simboli di quegli eterni valori che soli ci potevano e ci possono salvare. La Spagna che Donna Maria de las Nieves tanto amò, e che non seppe onorarla da viva, sappia almeno piangerla ora che non c’è più. Un lavacro di lacrime può forse ancora salvarla, e salvare tanti altri insieme a lei, col ritorno alla comprensione ed alla fedeltà ai poteri legittimi, così come li vogliono i requetés, quelli di sempre.
*: Ed un Museo Carlista dovrebbe farsi a Trieste che ne ha in S. Giusto il Mausoleo ed ha tanti ricordi carlisti.
Fonte originale: Remo Renato Petitto, Una regina in esilio (ricordi personali), in «Il Brennero», Giovedì, 6 marzo 1941 [Il testo è stato riproposto integralmente con pochi aggiustamenti grafici e correzioni di refusi. Il documento è stato donato a chi scrive dal dottor Maurizio Di Giovine, che ringraziamo.]
Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).
Fonte foto: Remo Renato Petitto in boina rossa e divisa in una cartolina, collezione dell’autore.
Bibliografia: «Bollettino della proprietà intellettuale», Anno XXII, fasc. 1-4, Ministero per l’industria, il commercio e il lavoro, Roma 1923; Bustamante Fernando, Remo Renato Petitto, in «Tradición», n. II, 1 giugno 1933, pp. 270-272; Cavallo Pietro, Riso amaro, Bulzoni, Roma 1994; Chi è? Dizionario degli italiani d’oggi, IV edizione, Cenacolo, Roma 1940; Eugenio Curiel, Scritti (1935-1945), in Opera completa, Greenbooks, Roma 2016; Evola Julius, Imperialismo pagano, Ar, Salerno 1996; Kipling Rudyard, Poesie, Newton, Roma 1995; «L’alleanza italiana», 16-28 febbraio 1969; «L’Italia che scrive», anno VIII, n.1, gennaio 1925; Levra Umberto, Solaro Clemente Conte della Margarita, in DBI, vol. 93, 2018; Pasqualin Riccardo,“I grandi atleti del Trono e dell’Altare” e il pensiero legittimista in Alessandro Augusto Monti della Corte, in «Lettere nel Tempo», I/2018, pp. 2-12 [anche se il testo andrebbe rivisto in alcuni punti]; Petitto Renato Remo, Aristocrazia custode, Gatti, Brescia 1931; Petitto Renato Remo, Nozze d’argento dei popoli Il XXV° anniversario dell’indipendenza della Finlandia 6 dicembre 1917 6 dicembre 1942, in «Rassegna Danubiana», anno I, n. 11, novembre 1942, pp. 365-366.
– Si ringraziano i Cimiteri Capitolini.
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