I murattiani nel Risorgimento
Il Risorgimento poteva prendere una piega diversa con protagonisti inaspettati: i murattiani.
Il Piemonte accolse, come si sa, numerosi esuli napoletani che vi si rifugiarono dopo il 1848. Essi, nei domini di Casa Savoia, riuscirono a stringere legami con un ministro francese che portava un nome importante: Luciano Carlo Bonaparte. Sì era lui, il figlio Gioacchino Murat, nato nel 1803 da Carolina Bonaparte, sorella dell’imperatore Napoleone I e regina di Napoli.
Ai napoletani che trovavano riparo in Piemonte, Luciano Carlo Bonaparte manifestò insistentemente l’intenzione di tornare sul trono di Napoli ed aggiungeva di voler portare a compimento il piano che suo padre aveva lanciato nel marzo del 1815 col “Proclama di Rimini”. Si sarebbe lui occupato di unificare l’Italia. Aveva sostenuto l’ascesa al trono di Francia di suo cugino Napoleone III e questi poi, nel 1848, l’aveva nominato Ministro di Francia presso il governo sabaudo e, nel 1852, senatore della Repubblica francese.
Un opuscolo anonimo pubblicato a Parigi il I settembre del 1855 col titolo: “La question italienne, Murat et les Bourbons”, fece il giro degli ambienti politici parigini ed italiani. Vi si sosteneva la “dolorosa convinzione dell’impossibilità, da parte del Piemonte, di ridurre l’Italia sotto un solo scettro e quindi la convenienza, come unica salvezza per le provincie napoletane, di restaurare il regno di Murat”. L’autore fu probabilmente Aurelio Saliceti, ex triumviro della Repubblica Romana, che, a Parigi, senza alcun compenso, insegnava ai figli del pretendente Luciano Murat la storia delle Due Sicilie.
Il siciliano La Farina non era di questo avviso. Pubblicò infatti in risposta un nuovo opuscolo dal titolo “Murat e l’unità italiana” in cui asserì che Luciano Murat avrebbe creato solo divisioni interne e nuove influenze straniere. L’unica unità d’Italia possibile sarebbe stata dunque quella con Vittorio Emanuele re. A rispondergli fu un nuovo libello, “L’unità d’Italia e Luciano Murat”, scritto da Trinchera. L’autore sostenne: “La Rivoluzione a Napoli ha una bandiera ed un nome: la bandiera della libertà e dell’indipendenza d’Italia, ed il nome di Luciano Murat. Nome assai caro ai napoletani perchè ricorda loro, nella presente miseria, il tempo felice di una volta, il regno di Gioacchino Murat… il popolo napoletano vive di ricordanze e le tradizioni murattiane sono la parte più bella della sua storia, come le sventure della famiglia Murat sono al storia delle sue sventure. Adunque la rivoluzione che si matura in quel reame non può iniziarsi, proseguirsi e compiersi che al grido universale, concorde e forte di Viva l’Italia! Viva Murat, Re costituzionale! Vedrà il signor La Farina che di murattiani ve ne ha tanti nel Regno quanti sono gli abitanti di esso, dal Tronto al Lilibeo!… Le aspirazioni del signor La Farina di voler ridurre l’Italia dall’Alpi alla Sicilia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele trovarono una resistenza invincibile, almeno per il momento, nella tradizione storica delle provincie poste al centro ed al mezzodì d’Italia, nel giusto e legittimo orgoglio di Firenze, Roma, Napoli, Palermo… Cresciuto in mezzo ai dolori ed alle agonie dell’esilio, educato alla scuola della sventura ed ai grandi esempi del Padre Suo, che fu guerriero invitto, principe glorioso e magnanimo, Luciano Murat non vive che per l’Italia, non pensa che all’Italia e per aiutarla, come egli stesso ce lo assicura, darebbe sino all’ultima stilla del suo sangue”.
Le ragioni di Murat trovarono numerosi sostenitori. Tra questi ricorderemo Luigi Mezzacapo, Francesco Stocco, i calabresi Giovanni Andrea Romeo e suo figlio Pietro Aristeo. Si strutturò dunque un vero e proprio movimento che, col supporto politico e diplomatico dell’imperatore di Francia e con l’iniziativa degli esuli napoletani, puntava ad accendere la miccia della rivolta tra le popolazioni del Regno delle Due Sicilie per sostituire Ferdinando II con Luciano Murat. A tal proposito scrisse Mariano D’Ayala nelle sue “Memorie” che “il disegno di Napoleone di mandare giù Re Bomba per mettere al suo posto Luciano Murat non era più un mistero; ed anche il governo inglese vi si mostrava favorevole , stretto alla Francia dalla alleanza per la guerra di Crimea. E nel 1855, dopo che Murat ebbe apertamente posta la sua candidatura, venendo anche in Ginevra a prendere accordi con Luigi Mezzacapo, Giovanni Andrea Romeo, Francesco Stocco, a Parigi e a Torino si teneva per sicura la restaurazione murattiana“.
Gli ambienti politici di Francia e Piemonte, nonchè i sostenitori napoletani, erano così convinti dell’imminente restaurazione murattiana che avevano già definito un primo futuro governo nelle persone di Saliceti come Presidente del consiglio, di Dragonetti agli Esteri, di Romeo agli Interni, di Mezzacapo alla Guerra, di Pisanelli alla Giustizia, di Trinchera all’Istruzione, di Scialoja alle Finanze, di Correnti all’Agricoltura ed al Commercio.
Anche il De Sivo scrisse in “Storia delle Due Sicilie”: “Sembra che il Cavour punzecchiasse Napoleone con promesse di rivoltare Napoli per Murat. Già parecchi nostri fuoriusciti, stati repubblicani, e riusciti poi unitari, s’erano costituiti in Comitato Murattiano a Torino; e il Cavour pagò le spese d’un viaggio a Ginevra a Gianandrea Romeo, Francesco stocco e Tito Saliceti, per confabulare col pretendente Luciano Murat: dove fermarono che Napoleone spingesse l’Inghilterra a mandar vascelli: e dare al regno opportunità di ribellione. Fu preparato anche il Ministero, e lo statuto alla francese“.
Aurelio Romeo in “Pietro Aristeo Romeo e il suo tempo” scrisse: “Quando a molti sembrò difficile l’attuazione dell’idea mazziniana, si accostarono a Murat che era largo di promesse e di aiuti. L’idea dell’unità si abbandonò, direi quasi, per qualche tempo dai più, credendosi impossibile, in quelle congiunture, di mandarla ad effetto. tra i fautori del Murat vi erano patrioti che avevano avuto non piccola parte nelle diverse sollevazioni di popolo, giacchè era quasi generalizzata la credenza che il Governo di Torino favorisse il partito murattiano; e ciò veniva avvalorato (lo conferma una lettera del Pallavicino al Manin) da Giovanni Andrea Romeo che aveva, nell’agosto 1856 recato un proclama in tal senso statogli consegnato in Ginevra dal figlio di Gioacchino“.
Un’opera interessante, per il numero di notizie sul tentativo di portare Luciano Murat sul trono di Napoli, risulta essere “Reazioni borboniche nel Regno di Napoli” di Matteo Mazziotti che conferma il coinvolgimento degli esuli napoletani e che affronta anche lo spinoso argomento delle polemiche tra la fazione murattiana e quella sabauda. Ad ogni modo, l’iniziativa garibaldina fece venire meno le alternative alla posizione filosabauda e generò una ricollocazione dei murattiani nel partito vincente. Il partito murattiano andò spegnendosi a poco a poco finendo nel dimenticatoio della storia.
Articolo: Angelo D’Ambra
Articolo aggiornato il 14/03/2017
I murattiani erano molto forti soprattutto in Calabria. E’ una storia sconosciuta ma molti murattiani erano originari di Cosenza, Catanzaro e Crotone.
E’ invece una cosa risaputa. Basta leggere gli accordi di Plombieres Les Bans del luglio 1858. La via murattista non poteva essere praticabile fin quando al potere c’era Ferdinado II di Borbone. Ferdinando avrebbe risposto militarmente ad ogni aggressione, ed avrebbe trascinato l’intera Europa in guerra . Era quello che non voleva l’Inghilterra e la Francia . Alle grandi potenze marittime di metà 800, interessava il pieno controllo sul mediterraneo, in vista della imminente apertura dell’Istmo di Suez. Per far questo occorreva scalzare dall’Italia la grande potenza guelfa che la controllava, direttamente ed indirettamente , ovvero l’Austria .
Ma nessuno poteva attaccare l’Austria direttamente, senza scatenare una grande guerra europea. Ed allora la Francia sfrutto’ il prurito espansionistico del piccolo Piemonte, e lo utilizzo’ come il plasmodio della malaria si serve della zanzara. Come veicolo . Utilizzare il Piemonte per rovesciare l’equilibrio geopolitico nella penisola italica . Al Nord uno stato vassallo diretto della Francia, ossia il Piemonte ipertrofizzato dall’acquisizione delle province austriache del lombardo-veneto. Uno stato del Centro Italia in mano a Gerolamo Napoleone, col Papa privato del suo stato e raccolto intorno a Roma. Col Regno Meridionale di nuovo in mano ad un Napoleonide, appunto Lucien Murat figlio di Gioacchino .
La cosa fu bene orchestrata, ma il Piemonte gioco’ troppo sporco, e mentre la Francia effondeva sangue nei campi di battaglia di Solferino, il perfido Cavour destabilizzava i ducati tosco padani . E tutto si fermo’ in mezzo al guado di Villafranca .
A quel punto, con Inghilterra, Prussia, Russia già pronte ad entrare in guerra a fianco dell’Austria, la perfida Albione impose l’unificazione italiana targata Savoia e Cavour, schiacciando le monarchie guelfe italiche, il potere politico temporale del Papa, le mire egemoniche francesi . E per una serie di circostanze anche favorevoli, l’azzardo riusci’ .