I fatti di Gravina nella guerra di Ludovico d’Angiò

Mentre l’esercito del voivoda seguiva Luigi di Taranto e si spingeva sino in Campania per schiacciarlo nella battaglia di Aversa, la Puglia piombò nell’anarchia, preda di tumulti, colpi di coda di baroni locali e banditi. I fatti più interessanti si registrarono a Gravina.
A Gravina il partito filoangioino aveva scacciato il capitano Nicola Angelo da Monte Sant’Angelo, fedele al re d’Ungheria. Al suo posto s’era istallato un capitano inviato dalla duchessa di Durazzo, feudataria della città. Quando Luigi di Taranto abbandonò la Puglia, il voivoda rispedì a Gravina il capitano che era stato scacciato, facendolo precedere da una lettera nella quale intimava al popolo di riassoggettarsi al re d’Ungheria. La sua lettera fu letta in piazza e i capi del partito filoangioino finsero di accettarla, però quando il capitano entrò in città, il 9 febbraio 1349, si ritrovò una città in tumulto. Sulle mura c’era molta gente che gridava il nome della duchessa feudataria e lanciava frecce e pietre. Dopo una trattativa il capitano poté entrare e il partito filoangioino decise di abbandonare la città. In risposta il capitano ordinò che ogni notte fossero chiuse a chiave le quattro porte di Gravina, poi fece restaurare le mura e scavare un fossato. Infine tre delle quattro porte cittadine furono murate e la quarta sottoposta a stretta custodia. I filoangioini di Gravina si unirono a Roberto Sanseverino e Rogerone conte di Tricarico spingendoli a radunare un’armata per riprendersi la città. Nel frattempo fu riferito al voivoda che Ruvo ed il castello di Terlizzi, dati in signoria all’ungaro Giovanni Chuez, stavano per essere presi dal nemico. Furono allora spediti nella città minacciata ben trecento cavalieri e cento fanti. Questi protessero Ruvo per due giorni, sebbene il castello fosse occupato dai nemici, poi, saputo che anche Gravina rischiava un attacco nemico, andarono a rafforzare le difese di quella città. Chuez intanto armò un una sua piccola schiera, supportata da cento uomini inviati dal capitano Nicola Angelo da Monte Sant’Angelo e provò, di notte, a stanare una accozzaglia di banditi, assoldati da Luigi di Taranto, che si andava raccogliendo a Oppido, diretta da un certo Fusto. Questi fu costretto a rinchiudersi nel locale castello, i suoi uomini furono in gran parte uccisi, Oppido fu bruciata e alla fine Fusto scappò. Chuez tornò allora a Gravina e, dopo pochi giorni, incontrò il voivoda a Barletta.

Quando i gravinesi si ritrovarono però liberi dall’esercito ungherese invitarono il Sanseverino a raggiungerli. Il 3 aprile 1349 un drappello di diciassette cavalieri e quaranta fanti lombardi del Sanseverino riuscì a razziare nelle campagne di Gravina circa quattromila pecore. I filoungheresi della città allora si misero sulle sue tracce, li raggiunsero poco dopo la mezzanotte e li costrinsero a fuggire lasciando le pecore. L’inseguimento riprese all’alba e il Sanseverino fu raggiunto a Pozzo Fetente, i suoi uomini uccisi o catturati, lui riuscì a fuggire ancora. Riprovò a prendere la città, ma il suo avvicinamento di notte fu segnalato da certi mulattirei gravinesi che avevano visto la sua schiera nelle campagne.

All’alba il popolo di Gravina fu in armi. Gli uomini di Sanseverino non attaccarono la città ma predarono tutto ciò che era fuori le sue mura. Il voivoda saputo del rischio che correva ancora Gravina, lasciò ad Andria tre squadre di tedeschi per soccorrere eventualmente Gravina e si spostò col grosso della sua armata a Corneto, dirigendosi verso Napoli. Il capitano Nicola Angelo, invece, riuscì a individuare tutti i membri del partito filoangioino che tramavano contro di lui e li fece imprigionare, in parte uccidere. Quando però seppe dell’imminente riavvicinamento del Sanseverino e di Rogerone con ragguardevoli forze, non seppe fare altro che fuggire.

Il 29 aprile del 1349, appena sorse il sole, a Gravina fu calato il vessillo del re d’Ungheria e issato quello della duchessa di Durazzo. Non tardò a consumarsi una brutale vendetta. Sanseverino e Rogerone, vendicandosi dei loro oppositori, li massacrarono nelle strade cittadine, poi portarono a Ruvo, dove il castello era in mano ai loro sodali, ma non la città. Sanseverino diede l’assalto, ma Ruvo non era provvista di mura difensive così fu subito presa e saccheggiata. Egual cosa accadde a Terlizzi e a Corato. Incontrò resistenza a Trani, provò a superare la fossa che cingeva la città e poi a scalarne le mura, ma i tranesi, appena videro i suoi uomini salire sulle scale, li rigettarono con armi e pietre. Lo stesso Sanseverino fu ferito e decise di abbandonare l’impresa. Si rimise sulla strada per Napoli ma già i coratesi si rifiutarono di farlo entrare.

In Puglia restò il conte d’Altamura. Questi attaccò Molfetta e Giovinazzo supportato da quattro navi da guerra di Luigi di Taranto, alla fine le due città furono prese. Non si arrese invece Bitonto e allora il conte fece bruciare i suoi oliveti e rompere i frantoi, fece pure costruire macchine poliorcetiche ma quando i bitontini, forti di mille buoni balestrieri, se le videro condurre contro le mura, le fecero accostare fin sotto e poi con una pioggia di frecce costrinsero gli assalitori ad abbandonarle. L’assedio durò in tutto diciassette giorni, poi si pattuirono accordi. La città avrebbe tenuto alzata la bandiera ungherese fino al 15 luglio e se fino ad allora non fosse venuta nessuna armata del re d’Ungheria, allora si sarebbe data a Giovanna. Nel frattempo però doveva pagare una ingente somma al conte.

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: D. Guerrini, La guerra del re Luigi I d’Ungheria nel reame di Napoli (1347-1350); I. De Feo, Giovanna d’Angiò

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