I fatti di Corleone

Perché i borbonici di Palermo potessero dividere le loro forze, fu necessario un tranello. Garibaldi simulò una ritirata sulla strada di Piana dei Greci, lasciando che l’artiglieria proseguisse verso Corleone sotto i comandi del colonnello Vincenzo Orsini, mentre egli stesso guidò i suoi uomini in una marcia notturna nei boschi sino ad occupare borgo di Misilmeri e, intanto che aveva luogo l’assalto a Porta Termini, i reparti nemici intrattennero un intenso scontro con Orsini.

Il colonnello si era portato a Corleone con quaranta carri di trasporto e cinque cannoni. Disponeva di cinquanta artiglieri ed una quarantina di uomini perlopiù ammalati. Erano pessimamente equipaggiati, avevano solo dodici fucili, ma ad essi si erano uniti circa centocinquanta insorti siciliani con fucili da caccia ed utensili da lavoro. Gli animali da tiro di cui disponeva erano pochi, così fu impossibile proseguire la marcia durante la notte e dovette fermarsi nelle vicinanze del bosco delle Ficuzze. Raggiunse Corleone alle tre del pomeriggio, accolto da una popolazione euforica.

Orsini era un soldato esperto, era stato un ufficiale d’artiglieria nell’armata napoletana, ma, di sentimenti liberali, aveva sostenuto l’insurrezione siciliana del 1848, impegnandosi nella difesa di Messina ed affrontando le truppe comandate dal Filangeri. Dovette esiliare e finì in Turchia per poi tornare in Sicilia.

Il nemico si avvicinò dopo due giorni, il 27 maggio, alle 10 del mattino, con un colonna di sessantamila uomini, con svizzeri, battaglioni di cacciatori, cavalleria ed artiglieria guidati da Giovan Luca Von Mechel. La notizia che si stesse appressando mise in fuga la popolazione, mentre Orsini scelse di prendere posizione sopra la strada di montagna per Chiusa che dominava Corleone, posizionando, a copertura del suo fianco destro, due pezzi d’artiglieria.

Le squadre degli insorti si disposero a difendere l’ingresso della città e furono le prime a dover fronteggiare il fuoco dei regi, ripiegando precipitosamente. I cannoni garibaldini allora tuonarono, ma si videro presto circondati da reparti di cacciatori, mentre l’Orsini ordinò la ritirata. Corleone fu occupata dai borbonici.

Intanto, al tramonto Orsini passò per Campo Fiorito e, verso le 10 di sera, giunse a Chiusa. In questo ripiegamento, i borbonici non rinunciarono a seguirlo perché pensavano che Garibaldi in persona fosse tra loro. Von Mechel, come Bosco, era convinto che Garibaldi stesse lì, incapace di tenere il campo, di rispondere al fuoco e preoccupato solo di trovare un nascondiglio tra le montagne. Il 26, infatti, il generale borbonico aveva telegrafato a Napoli che “la banda di Garibaldi, in rotta, si ritira disordinatamente pel distretto di Corleone” ed aveva pure fatto affiggere manifesti per comunicare la notizia a tutta la popolazione. All’alba del 28, le truppe di Orsini marciarono verso Giuliana, pedinate dal nemico che non rinunciava ad inoltrarsi su strade impraticabili e dirupi. I garibaldini furono costretti a rinunciare al trasporto delle artiglieria e distruggere i bagagli perché non cadesse in mano ai borbonici. Infine si diresse verso Sambuca.

Lì, il 29 maggio, si seppe che Palermo era stata presa da Garibaldi. Solo allora Von Mechel capì che era stato ingannato, si rese conto di essere stato giocato e di aver allontanato dalla capitale 3000 soldati scelti. Si precipitò a Palermo, mentre Orsini procedette a recuperare, per quanto possibile, ciò che era stato abbandonato ed a tornare indietro, entrando a Palermo il giorno 6, lo stesso giorno in cui Lanza si arrese.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Luigi Rigoni, La spedizione di Garibaldi da Genova a Palermo per uno dei Mille; Luigi Rossetti, L’insurrezione siciliana e la spedizione di Garibaldi nel 1860

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