I Fasci siciliani
I Fasci siciliani sorsero tra il 1892 ed il 1894 col fine di contrastare il latifondo agrario e l’elevata pressione fiscale. Queste organizzazioni furono protagoniste di rivolte che spesso finirono tragicamente come quella di Caltavuturo, il 20 gennaio 1893, quando undici contadini trovarono la morte dopo un’occupazione simbolica del demanio comunale. Tra il 1893 ed il 1894 furono più di cento i morti e si contarono oltre tremilacinquecento lavoratori arrestati e incarcerati. Il governo Crispi dettò lo scioglimento delle organizzazioni con lo stato d’assedio e numerose condanne di tribunali militari. Il 30 maggio da Palermo furono poi condannati coloro che erano stati individuati come i capi dei Fasci e più esemplari: Giuseppe de Felice Giuffrida a 18 anni di carcere, Bernardino Verro a 16 anni di carcere, Rosario Garibaldi Bosco e Nicola Barbato a 12 anni di carcere. Quanto segue è la presentazione del movimento descritta da Robert Michels, autore di Storia critica del movimento socialista italiano, Firenze 1926.
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Al tempo del loro maggior sviluppo si contavano in Sicilia su per giù 300 fasci con circa 200.000 iscritti, per lo più contadini. Nella sola Palermo il fascio dei lavoratori contava più di 10.000 soci. La sua attività era molto complessa. Ci viene riferito che nel suo locale esisteva una vasta sala destinata alle conferenze e alle recite di drammi socialisti, tutta piena di iscrizioni di Marx, di Louis Blanc, di Bovio. Nel corridoio del locale erano appesi i campioni delle stoffe che i soci sarti offrivano ai compagni per vestiti, a prezzi minimi, nonché le tabelle dei prezzi ridotti de’ pastai, de’ barbieri, de’ pizzicagnoli, de’ calzolai e d’altri facenti parte del fascio. Nella sede c’era anche una sala detta rossa, colle pareti ricoperte dai gonfaloni rossi delle 63 sezioni d’arte e mestieri nelle quali il fascio si suddivideva. Troneggiava in questa sala il busto di Marx, su fondo rosso, fiancheggiato dai busti di Garibaldi e di Mazzini.
In principio i fasci svolgevano una vasta opera di socievolezza e di moralità pubblica. Furono istituiti alberi di Natale e date feste da ballo, recitate commedie scolastiche, scritte e rappresentate dai fascisti stessi. Con questa attività letteraria si mirava a tre scopi diversi: quello di divertire ed educare gli operai, quello di aumentare i fondi di propaganda, e quello di aiutare i compagni bisognosi. Ogni domenica poi una commissione del fascio usava fare il giro delle osterie a raccomandare ai fratelli di “non ubriacarsi, perché la massima parte delle risse e dei ferimenti succedono quando c’è di mezzo del vino”.
Ogni decurione, capo di dieci soci del fascio, aveva l’obbligo di sorvegliare i suoi fratelli aderenti, e di essere per loro un padre. Ed infatti il sentimento di fratellanza era radicato nei fasci e a tal segno che quando, ad esempio, ad un socio moriva un mulo, tutti i compagni sborsavano alcuni soldi a testa perché se ne potesse comprare un altro.
I fasci siciliani erano capitanati da uomini coraggiosi appartenenti alla piccola od alla media borghesia: il possidente Bernardino Verro, il ragioniere Garibaldi Bosco, il medico Nicola Barbato, l’avvocato Giacomo Montalto, ai quali si associarono alcuni nobili, tra cui si fece più tardi un nome: il principe Alessandro Tasca di Cutò, poscia deputato socialista per il collegio di Sciacca. Tutti superava, per ardire e per influenza sulle masse, il catanese Giuseppe De Felice Giuffrida…
Nel movimento dei fasci i contadini siciliani, che si chiamavano spesso anche marxisti, usavano portare nelle loro dimostrazioni, in una armonia perfetta, alla rinfusa, i ritratti del ribelle Carlo Marxo, del loro buon Re Umberto I e della Santissima madre di Dio, accompagnandoli col grido di: “Viva il re”. Essi professavano anche una venerazione speciale per la memoria di Garibaldi…
I moti dei fasci non consistono in una sommossa generale, ma in infiniti piccoli incidenti episodici e sporadici della popolazione, sconnessi e scuciti che si verificavano assai di più nei piccoli borghi e nelle piccole città che non nei centri maggiori dell’isola. Nascevano disordinatamente, senza scopi ben prefissi, o con fini assolutamente sproporzionati ai mezzi. Spesso le folle, nelle quali le donne facevano per lo più una parte sobillatrice, si diedero ad incendiare le carte e i registri comunali, a saccheggiare gli uffici ed a liberare i detenuti. In special modo ce l’avevano colle garette daziarie.