I brentatori di Pavia
I Brentatori incarnarono una figura essenziale nella vita medievale, quella dell’esperto di vini. Furono giudici, banditori, venditori, persino vigili del fuoco. Derivarono il loro nome dalle “brente”, recipienti pieni di vino, portati a dorso, che all’occasione potevano servire a spegnere incendi.
Compagnie di Brentatori si incontrano a Mantova, a Cremona, a Trento, a Rovereto, a Ferrara, a Parma, a Roma, a Napoli, fino al Seicento.
Lo statuto del Paratico dei Brentatori di Pavia, ritrovato in una copia dell’atto 24-27 settembre 1533 di Luigi dei nobili di Ruino di Gravenato, notaio pavese, è presente nell’Archivio della Curia Vescovile di Pavia e ci dice tutto della corporazione cittadina dei brentatori.
Le norme dello statuto possono distinguersi in due parti: l’una concernente la vita interna del paratico, l’altra il regolamento della attività professionale.
L’iscrizione al paratico era obbligatoria per tutti coloro che esercitavano la professione nella circoscrizione della città, dei borghi e dei Corpi Santi. La tassa era di venti soldi da corrispondersi esclusivamente per l’iscrizione nella matricola del paratico, una volta l’anno, anche per rituali religiosi, ceri, torce, feste liturgiche.
Il paratico era governato da due consoli, eletti annualmente nel giorno di Sant’Agostino, il 28 agosto, dalla assemblea generale di tutti gli iscritti, tenuti obbligatoriamente ad intervenire, sotto pena di sei soldi. La riunione si teneva nell’ora prima del vespro, nella chiesa o nel Convento di Sant’Agostino, e risultavano eletti coloro che avessero avuto la maggioranza dei voti. Potevano essere eletti solo cittadini di Pavia e si occupavano delle normali attività della compagnia, anzitutto della raccolta delle tasse d’iscrizione. A titolo di ricompensa erano esenti da ogni contributo.
Vi era libertà per i brentatori di muoversi liberamente nella città e chiaramente punite le frodi. Le feste erano legate al periodo della vendemmia perché i brentatori avevano facoltà di lavorare tutte le feste, salvo quelle proibite dalla Chiesa e dagli ordinamenti della città. Alcune feste si dovevano assolutamente osservare, e precisamente quelle di San Siro, il 9 dicembre, di San Teodoro, il 26 marzo, di Sant’Agostino, il 28 agosto, della Vergine Maria, l’8 settembre, di Sant’Ambrogio, il 7 dicembre, di San Martino, l’11 novembre, di San Sebastiano, il 20 gennaio, e di San Rocco, il 16 agosto.
Oltre al vino potevano vendere l’aceto e nei periodi di ristagno nella loro attività, ai brentatori era concesso “ammazzare, ordinare et salare Bestie Bovine et Porci in casa delli cittadini senza alcuna pena da pagare al paratico delli Beccari ne altra molestia dei Giudici di Vittovaglie ne altri officiali non obstante ordini disponenti in contrario”.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Magnani, I brentatori di Pavia