I Borbone e la “Spugna d’oro” del Mediterraneo
Pochi conoscono la grande storia dell’arte del corallo a Torre del Greco.
Morto Carlo II d’Asburgo senza figli nel 1700, il Regno di Spagna e i Viceregni di Napoli e di Sicilia passavano per volontà testamentaria al nipote Filippo di Borbone, nipote a sua volta del Re di Francia Luigi XIV, che si proclamò re a Barcellona col nome di Filippo V. In seguito per protesta, la Guerra di Successione fra Spagna-Francia contro la coalizione formata da Inghilterra, Regno di Sardegna, Danimarca, Austria, Svezia e Portogallo, nel corso della quale la Città Partenopea, nel 1707 fu occupata dagli Austriaci. Alla fine, nel 1714, Filippo rimaneva re di Spagna e l’Austria, con l’Imperatore Carlo VI d’Asburgo, teneva per se l’Italia meridionale ed otteneva successivamente la Sicilia, che diventavano due suoi viceregni, governati da un’altra serie di viceré inviati da Vienna. Una nuova guerra internazionale scoppiò nel 1733 per la successione polacca, combattuta tra Spagna, Francia e Austria: la Spagna riconquistava l’Italia meridionale e la Sicilia per opera dell’Infante Carlo. Questi nel 1734 e 1735 col nome di Carlo VII di Borbone diventava sovrano dei nuovi regni indipendenti di Napoli e di Sicilia. Tale re si faceva costruire nel 1740 la Reggia di Portici per le sue divagazioni e le raccolte di opere d’arte che si venivano recuperando con lo scavo dell’antica Ercolano; molti nobili e cortigiani lo imitarono e così la Strada Regia fra Napoli e Turris Octava (Torre del Greco) si arricchì di fastose ville in stile barocco e rococò, inaugurando il famosissimo “Miglio D’oro”. Tra le Ville Vesuviane presenti a Torre del Greco, la Villa del Cardinale, merita senza dubbio nota di riguardo. L’edificio, costruito lungo la celeberrima Strada Regia delle Calabrie, come la gran parte delle ville del “Miglio d’Oro”, domina la zona con la sua magnificente facciata. Dopo il suo passaggio al Trono di Spagna (col nome di Carlo III) nel 1759 gli succedeva il figlio Ferdinando IV e terzo come re di Sicilia.
In tale periodo il territorio di Torre del Greco lussureggiante confinava con Torre Annunziata e Trecase, con Resina, il Vesuvio e il mare. Il centro cittadino era compreso fra la Porta di Capo La Torre verso Napoli e la barra del Purgatorio a Sud, fra Via Piscopio e il mare diviso nei tradizionali cinque quartieri, possedendo il forno di mare per il pane, la calcara, la fontana pubblica, i lavatoi comuni fatti costruire dal De Bottis, la dogana della farina, il mulino, il Castello, l’ospedale, dipendenza degli Incurabili di Napoli. Ebbe altre otto chiese, fra cui quella dell’Immacolata Concezione. La popolazione raggiunse i 9.000 abitanti nel 1743, gli 11.000 nel 1761; i 17,000 nel 1794; continuarono a prosperare, come nel passato, le varie arti e mestieri soprattutto la pesca del corallo. Di più arrischiandosi, affrontando i pericoli dei feroci corsari barbareschi, bene armati e pronti alla guerriglia, i nostri marinai si spinsero, nella seconda metà del secolo, alle coste settentrionali dell’Africa per pescare il prezioso corallo; e ogni anno, dalla primavera all’autunno partivano seicento barche grandi e alte con più di quattromila uomini. Con l’editto del 1740, Carlo richiamò gli ebrei nel regno sperando di potenziare i traffici marittimi come Livorno. I Reali innovarono e diedero impulso all’artigianato locale della lavorazione del corallo che assunse sempre più carattere industriale. Dopo la gloriosa stagione barocca, le opere di incisione e scultura di grande valenza artistica vennero meno, salvo rare eccezioni, e si diffuse la produzione di sfere, grani, bottoni per rosari o per piccoli e semplici ornamenti, finché all’ inizio del XIX secolo si riaffermò una lavorazione del corallo estremamente originale, raffinata e ricca con l’assoluto primato di Torre del Greco. Ciò fu possibile in quanto cambiò la considerazione del corallo e pure il gusto estetico. Se in passato fu utilizzato per creazioni di alta oreficeria barocca, anche perché, secondo il pensiero cattolico della Controriforma, era il simbolo sacro dell’ altissimo sacrificio, nell’ 800 la nascente borghesia lo apprezzò come elemento decorativo di oggetti personali e di uso comune, come pettini, fermagli, tagliacarte, specchi, manici di ombrellini, pomi di bastoni da passeggio. Si diffuse quindi una nuova tipologia di produzione, non più di opere uniche per principi o oggetti sacri, ma di opere realizzate in più esemplari da distribuire in un mercato più ampio che ne faceva sempre più richiesta. Nel piano di incremento economico del regno, Ferdinando IV, dopo aver fondato industrie di seta panni fini, ceramiche porcellane, armi, volle incoraggiare la pesca del corallo di Torre, città chiamata da lui “la Spugna d’oro del Regno” per l’ingente guadagno che ricavava. Il 27 marzo 1805, Ferdinando IV diede la concessione a Paolo Bartolomeo Martin, marsigliese trapiantato a Torre del Greco, di aprire una fabbrica per la lavorazione del corallo. Qui ebbe inizio il mito del corallo. Esenti da dazi per l’esportazione di quello lavorato e per il commercio interno al Regno di Napoli, a condizione che formasse giovani apprendisti in quest’arte. Il successo fu immediato: nel primo anno la fabbrica del Martin, che impiegava un centinaio di lavoranti, ottenne da Ferdinando IV il diritto di produrre e vendere in tutto il regno e il divieto per chiunque di contraffarne la produzione. Al posto di piccole associazioni, e di una successiva Società più grande sempre deboli e mosse da interesse privato il suo governo creò nel 1805 la ”Reale Compagnia del corallo” con capitale 600.000 ducati diviso in 1200 azioni da 500 ducati ciascuna. Tutti i Torresi, in teoria, potevano diventare comproprietari di tale Compagnia. Un apposito Codice detto ”Corallino”, opera del giurista Michele de Iorio, con un insieme di leggi e ordinamenti regolava la partenza, il ritorno, la pesca,la vendita del corallo, le vertenze giudiziarie, il lavoro dei magistrati e dei custodi.
La ”Compagnia” ebbe bandiera propria: sopra uno scudo azzurro una torre fra due rami di corallo, e in cima tre gigli borbonici d’oro. Però, mentre la Società precedente era stata prospera perché libera e spinta dallo zelo del guadagno dei singoli, la ”Compagnia” fece decadere la ricchezza perché agiva per il guadagno comune, imitando il modello di San Leucio. Lo sviluppo del corallo a Torre del Greco ebbe la protezione di diversi sovrani partenopei fino la caduta del regno, ed è doveroso citare la Beata Maria Cristina, Regina delle Due Sicilie, che successivamente incentivò e sovvenzionò la crescita dell’arte del corallo a Torre del Greco. Significativo è il fatto che, in occasione del 3° Centenario della nascita di Carlo di Borbone, Torre del Greco ha avuto l’onore di ospitare il Principe Don Giacomo di Borbone – Due Sicilie, Duca di Noto, suo diretto discendente.
Autore articolo: Cav. Domenico Giuseppe Costabile S.M.O.C.