Gli ebrei nella Sicilia aragonese
Gli ebrei appresentavano una componente importante della società siciliana sotto gli Aragonesi. Il loro peso in campo commerciale, finanziario e culturale era notevole e tuttavia gli ebrei non godettero affatto di trattamenti particolarmente favorevoli dei sovrani né di benevolenza nei più ampi strati sociali.
Fino all’editto di Ferdinando ed Isabella del 1492, col quale oltre centomila ebrei dovettero abbandonare l’isola, patirono numerose violenze. Il venerdì santo del 1339, il loro ghetto a Palermo fu invaso e depredato con numerose uccisioni; nel 1392 a San Giuliano la popolazione li costrinse a battezzarsi ed egual cosa si replicò a Siracusa. Rivolte contro gli ebrei con enorme spargimento di sangue e ferocia si verificarono a Polizzi nel 1403, a Taormina nel 1455, a Modica e Noto nel 1474, a Messina e Caltagirone nel 1475, a Castiglione nel 1491. Anche la tutela che, in qualche occasione, la Corona fornì loro servì a poco, di fatti i re se la facevano pagare con tasse speciali, scomputi e abbuoni su prestiti.
Una rotella rossa era il segno distintivo che erano costretti a portare sugli indumenti. Fu voluta da Federico III d’Aragona, terzogenito di Pietro d’Aragona e di Costanza, figlia di Manfredi, che riprese una disposizione dell’Imperatore Federico II di Svevia. Così a tutti era chiaro che si trovavano davanti una persona che giuridicamente non contava quanto loro: un cristiano, per esempio, poteva testimoniare contro un ebreo ma non il contrario. Federico III d’Aragona vietò agli ebrei pure di poter mangiare con i cristiani e condividere con loro rapporti conviviali.
Un ebreo non poteva partecipare ad uffici dell’amministrazione pubblica, né occuparsi di medicina e farmacia, tranne che con altri ebrei. Gli ebrei erano tenuti ad astenersi dal lavoro nelle festività cristiane ed a lavorare in quelle ebraiche; balie ed inservienti cristiani erano loro concessi solo in numero ridotto ed i bambini delle loro schiave dovevano essere fatti battezzare, altrimenti la chiesa li avrebbe battezzati e liberati; per qualche tempo furono obbligati ad ascoltare messa, circostanza in cui dopo spesso subivano lapidazioni.
Gli ebrei pagavano, oltre alle tasse comuni, altri tributi speciali, anzitutto l’antica gisia, un’imposta personale paragonabile alla capitazione che permetteva a loro, come ai musulmani, di poter professare la propria fede religiosa. Tali gabelle venivano concesse ai vescovi i quali spesso esercitarono sugli ebrei anche giurisdizione civile e criminale.
Tra tanti soprusi e violenze, avevano però un privilegio: potevano praticare l’usura.
L’usura era proibita ai cristiani sin dall’epoca dell’imperatore Federico II. Lo svevo comandò il divieto di prestare denari ad usura ma eccettuò dalla disposizione gli ebrei e, perché costoro non esagerassero, stabilì che il guadagno non dovesse superare mai il dieci per cento del prestito.
Nel XV secolo si contavano in Sicilia cinquantasette comunità ebraiche. Il loro insediamento risaliva a secoli prima, probabilmente, infatti, dopo Roma, Siracusa fu la seconda città che accolse ebrei fuori dalla Palestina dopo il 70 d.C, anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme. L’espulsione voluta dai Re Cattolici interruppe questa lunga e controversa storia, per ritrovare piccoli gruppi di ebrei siciliani bisognerà aspettare il diciannovesimo secolo.
Autore articolo: Angelo D’Ambra