Gli antitrinitari calabresi del Cinquecento
Quella degli antitrinitari calabresi nel Cinquecento è una storia di eresia, fuga e morte.
Spiriti inquieti, polemici, travolti da una ricerca spirituale spasmodica che li portò a mettere in discussione il soglio di Pietro, il valore dell’eucarestia, la trinità, così disposti a difendere le proprie idee da patire carcere e tortura, fuggire esuli in giro per l’Europa e trovar la morte magari proprio per mano di un tribunale protestante.
Sostenevano che biblicamente non esistesse alcun fondamento per il dogma trinitario e che Padre, Figlio e Spirito Santo fossero dunque tre persone distinte.
Coltivata nei circoli valdesiani, l’ideologia attecchì e maturò soprattutto in un gruppo di calabresi, composto in larga parte da allievi del conterraneo Bernardino Telesio.
E’ la storia di Tiberio Russiliano di Gimigliano in provincia di Catanzaro, autore di “Apologeticus”. Catturato a Firenze, abiurò di fronte al celebre inquisitore francescano Paolo da Fucecchio, ma tornato in libertà continuò a diffondere le sue tesi. Le mascherò dietro studi su Porfirio a Palermo dove pubblicò “Universalia Porphiriana”. Sua sorte fu essere ucciso durante un viaggio in Africa da un suo stesso schiavo, attorno al 1560; è la storia di Giuseppe Venanzio Negri, di Cosenza, maestro di greco a Milano, accusato di stregoneria e fuggito in Svizzera, perseguitato dai calvinisti e scappato in Polonia e poi ancora in Transilvania. Nel testo “Ad Lismanium epistolae” espose le sue idee antitrinitarie ma racconta pure la persecuzione subita in Polonia sotto il re Sigismondo; in Polonia scomparve un altro cosentino, Agostino Doni, esule in Svizzera e Germania, era stato cinque anni in carcere in Calabria; ma è anche la storia di Valentino Gentile, anche lui di Cosenza, insegnante di letteratura nella Napoli di Valdes, che fu accusato di eresia antitrinitaria, simulò l’abbandono delle sue tesi firmando una confessione di fede aderente ai principi del cattolicesimo, la ricusò e fu incarcerato, processato e condannato a morte. La pena gli fu sospesa per intercessione del Senato di Ginevra e lui raggiunse la cittadina svizzera nel 1566 per dedicarsi alla propagazione di idee anticattoliche ma anche anticalviniste. Fu proprio Calvino ad apprestargli il patibolo, il 10 settembre del 1566.
Altra figura importantedell’antitrinitarismo calabrese fu Francesco Renato di Calabria, un ex predicatore cappuccino nativo di Crotone, che, accusato di patteggiare per il riformatore senese Bernardino Ochino, fuggì in Svizzera. Tacciato di eresia pure dai calvinisti, si stabilì a Napoli dove le sue invettive contro il cattolicesimo si fecero più dure di quelle dei seguaci di Valdes. Anche da Napoli dovette fuggire alla volta della Repubblica di Venezia, ma venne catturato durante il viaggio e da quel momento in poi si perse ogni sua traccia.
Il nome più importante è però quello di Girolamo Busale, figlio di Martino Busale, luogotenente del tesoriere regio di Calabria Ultra nel 1520, trasferitosi poi a Napoli dove nacque Girolamo.
La famiglia aveva origini ebraiche e fu forse anche per cancellarle che Girolamo fu avviato alla carriera ecclesiale. Frequentatore dei circoli valdesiani, guidati dall’antitrinitario spagnolo Juan de Villafranca, questi si trasferì a Padova inserendosi totalmente in comunità anabattiste. Fedele assertore dell’antitrintarismo, entrò pure con gli anabattisti in conflitto. In un sinodo veneto le sue idee furono solo parzialmente accolte, si concordò che Cristo fosse bensì il messia, ma uomo generato naturalmente da Giuseppe e Maria. Quando la repressione iniziò a Padova, Busale rientrò a Napoli dove tuttavia prese a predicare pubblicamente. Spinto dalla famiglia estremamente preoccupata per il suo comportamento, emigrò ad Alessandria d’Egitto e qui si si persero le sue tracce.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: P. Crupi, Conversazioni di letteratura calabrese dalle origini ai nostri dì