Giuseppe Verdi, il compositore e patriota
Giuseppe Verdi nacque alle Roncole, presso Busseto, in provincia di Parma, il 10 ottobre del 1813. L’anno dopo le truppe di Napoleone Bonaparte irruppero nella chiesa del villaggio e sua madre, Luigia Lutini, una povera filatrice del posto, a stento riuscì a mettersi in salvo, col figlio in braccio, salendo una scala e raggiungendo la cima del campanile.
Condatinello scalzo, Giuseppe da bambino aiutava suo padre in una bottega in cui si vendevano pane, aceto, carbone, bottoni. Cresicuto, ebbe come suo primo maestro l’organista della chiesa, un certo Baistrocchi che certo non poteva immaginare che l’allievo sarebbe un giorno diventato l’autore dell’Aida.
Verdi s’apprestò alla musica nel 1839 con l’Oberto di San Bonifacio, la sua prima opera. La fece rappresentare alla Scala di Milano la sera del 17 novembre del 1839, ma nessun entusiasmo della critica accompagnò quegli anni. Sebbene l’opera gli valse un contratto, era stata accolta dalla totale indifferenza del pubblico. Attaccato da una tenace febbre, s’avviò alla stesura di un’opera buffa per l’autunno del 1860, come da accordi, ma nel giro di tre mesi spirarono i suoi due figli e poi la moglie Margherita. D’un tratto non ebbe più famiglia ed il terribile dolore lo devastò. Volle immergersi allora nel lavoro per provare a dimenticare, tuttavia l’opera buffa che nacque fu priva di sussulti, completamente arida.
Per alcuni mesi Verdi restò impietrito a languire tra i pensieri, poi, finalmente, mentre leggeva il libretto del Nabucco scritto dal Solera fu colto dall’ispirazione. Era notte, si mise al pianoforte e, nel silenzio, nacque il celebre coro “Va pensiero sull’ali dorate”. Il trionfo del Nabucco portò Verdi all’attenzione delle folle ed il successo fu confermato dalle note dell’Attila, un’opera barocca forte di un infuocato impeto politico che mandò in visibilio il pubblico della Fenice di Venezia, la sera del 17 marzo del 1846. L’entusiastico grido “Avrai tu l’universo: resti l’Italia a me!”, fece fremere il teatro e nei giorni seguenti l’Attila fu il pretesto per decine di dimostrazioni patriottiche. In tutti i teatri d’Italia bastava che una voce cantasse “cara patria, gia madre e regina / di possenti e magnanimi figli” perchè tutta la sala si sollevasse come al segnale di una rivoluzione. Così avvenne pure per la Battaglia di Legnano, scritta in pochi giorni nel breve periodo della Repubblica Romana.
Fu rappresentata per la prima volta al teatro Argentina di Roma, il 27 febbraio del 1849. I versi erano del napoletano Salvatore Cammarano e rivelavano tutto lo spirito del Quarantotto: “Viva l’Italia! Un sacro patto / Tutti stringe i figli suoi: Esso alfin di tanti ha fatto / un sol popolo d’eroi”. Nel 1844, Verdi aveva già portato a Roma un nuovo lavoro, I due Foscari, che era stato pesantemente intaccato dall’asprezza della censura pontificia. Il librettista Piave era stato costretto a seguirlo per sistemare alla meglio le strofe stroncate dai papalini, tuttavia proprio quest’opera tornò al centro di grandi entusiasmi unitari grazie a certi versi che si prestavano ad altre interpretazioni, come al terzo atto, quando il coro intima “Cedi! Cedi! Rinunzia al poter” al vecchio Foscari ed il pubblico ripeteva lanciando l’invito a Pio IX senza paure. Papa Giovanni Mastai aveva destato le più liete speranze di libertà, ma fu breve l’illusione, ancor più breve delle giornate repubblicane, e Roma, tornata monarchia, tornò a conoscere la dura censura: si sospese la Traviata perchè il pubblico usava i versi del quarto atto contro il potere temporale: “la tisi non le accorda che poche ore!”; si sospende Chi l’ha dura la vince perchè la strofetta “oh povero Giovanni, Di te che mai sarà?” vide il pubblico ridere e rivolgere quei versi al pontefice in tono canzonatorio; si sospende la Norma perchè i versi del coro “Son di Roma le schiere cadute… abbattuta, eccola l’Aquila al suol” diventarono per il pubblico “Son del Papa le schiere cadute, abbattuta la tiara ecco al suol”. Verdi lasciò l’Ialia col cuore affranto. Sei anni dopo la rivoluzione tornava in scena con I Vespri Siciliani. L’opera fu rappresentata a Parigi, dove viveva Daniele Manin, il grande patriota veneziano.
Trascorso il periodo del grande trasporto politico, il genio di Verdi si volse alla stesura del Trovatore, del Rigoletto, della Traviata. In cinque anni, a breve distanza l’uno dall’altra, questa triade di creazioni melodrammatiche inserì Verdi nel novero dei grandi della musica. Fu poi la volta dell’Aida, forse la sua più grande composizione. Fu certamente il nome più amato ed applaudito durante la seconda metà del secolo. Nel 1881, ancora vivo, gli fu innalzata una statua nell’atrio del teatro la Scala. L’opera fu posta accanto a quella del Rossini, del Donizetti, del Bellini, ma il fervore patriottico tornava ad agitare Verdi: nel 1888 l’Ernani fu data a Trieste per otto sere consecutive con un clamoroso successo ed entusiastici applausi in particolare per il coro “Siamo tutti una sola famiglia”. La polizia assistette impotente alle manifestazioni, ma l’Ernani fu sospeso per sempre.
Autore articolo: Angelo D’Ambra