Giuseppe Bonaparte e la riforma amministrativa del Regno di Napoli
Il 14 gennaio del 1806, da Milano a Roma, marciò un esercito di 32.000 soldati francesi. Con loro c’era Giuseppe Bonaparte, Principe dell’Impero e Luogotenente dei Francesi. Il Regno di Napoli inviò per ben due volte il suo emissario, il Duca di Santa Teodora, per trattare la pace e scongiurare una invasione., ma gli incontri, quello del 21 gennaio e quello del 5 febbraio, fallirono senza ottenere un solo successo. Il 10 febbraio del 1806, l’esercito napoleonico entrò dunque nel Regno di Napoli.
Capitolarono subito Capua e Pescara e tutti i castelli di Napoli finirono nelle mani dei francesi del generale Portouneaux. Il 15 febbraio Giuseppe Bonaparte potè entrare in una Napoli controllata e quieta.
Volle dare subito l’idea di essere ben disposto verso il suo regno e, prima ancora di formare il suo governo, fefe visita alla Cappella di San Gennaro, rispettando le tradizioni napoletane. Sin dai primi giorni oltretutto si circondò di consiglieri napoletani, anzi alla fine del suo regno risultà che erano molto di più i napoletani al suo fianco che francesi.
A quanto pare cercò sempre di conservare una certa autonomia per il Regno di Napoli e non si adeguò mai alle direttive politiche del fratello. A dimostrarlo ci sono non solo l’attribuzioni degli incarichi, praticamente solo ai napoletani, ma anche la mancata applicazione del sistema metrico decimale e le modifiche apportate al codice Napoleone altrove applicato senza riserve. Questo giudizio non trovò il consenso di Pietro Colletta che nella Storia del Reame di Napoli sottolineò proprio la mancanza di autonomia del regno di Giuseppe mitigata da una difficoltà nella capacità locale di recepire le riforme. “Se Colletta avesse letto le lettere di Napoleone al fratello e le risposte di quest’ultimo… avrebbe veduto che non sempre Giuseppe si attenne agli ordini di Napoleone”, annotò Nino Cortese.
Il decreto di nomina dell’Imperatore gli arrivò il 3 aprile a Reggio Calabria, era lì, partito il 3 da Napoli, per conoscere le più lontane province del Regno. L’iniziativa, largamente condivisa dal suo entourage, fu apprezzata anche dalle autorità locali e che ovunque, dal Molise alla Puglia, accorsero a fornirgli ragguagli sullo stato delle cose nei loro circondari.
Proprio dalla Calabria, Giuseppe Bonaparte avviò la sua profonda riforma statale.
Nei giorni di permanenza a Reggio Calabria riorganizzò il nuovo Ministero di Stato, che fu detto dell’Interno, conferendogli competenze sull’amministrazione delle provincie, la pubblica sanità, gli ospedali, le carceri civili, le congreghe laicali, le opere pubbliche, l’agricoltura, il commercio, l’istruzione pubblica, le accademie, le biblioteche e le società letterarie.
Le sue direttive furono subito innovative, travolgenti come un fiume in piena. Il 10 maggio stabilì gli intendenti delle province, i sottointendenti dei distretti ed i sindaci in ogni comune, poi tornò a Napoli dove, con il decreto n. 71 del 15 maggio 1806, istituì pure il Consiglio di Stato, che ebbe all’inizio un ruolo prettamente consultivo, esprimendo i propri pareri su qualsiasi argomento, soprattutto in materia tributaria. Successivamente le sue funzioni furono ampliate e con il decreto del 5 luglio 1806 fu diviso in quattro sezioni: legislazione (giustizia e culto), finanza, interno e polizia, guerra e marina.
Il 17 agosto il Corpo della Città di Napoli fu sostituito dal Senato e fu disposta anche la divisione delle Provincie in Distretti, Circondari e Comuni.
In pochi giorni la fitta rete di privilegi, prerogative, poteri, ambiti di diritto, forme di controllo, su cui poggiava da secoli lo stato napoletano, venne spazzata via. Lo Stato acquisì le sembianze moderne d’una macchina amministrativa. La sanità, l’assistenza sociale, l’istruzione, la regolazione delle arti e mestieri, tutto veniva posto sotto il controllo e la direzione dello Stato.
Il 1808 fu l’anno dell’abolizione del Ministero di Casa Reale, dell’unione del Ministero di Guerra con quello di Polizia, dei provvedimenti amministrativi che accompagnarono la soppressione dei monasteri e la fine della feudalità; nel 1809 si aprirono la Regia Corte de’ Conti e la Camera del Commercio. Giuseppe Bonaparte si avviava al trono di Spagna ma anche a Napoli era arrivata la “monarchia amministrativa”.
A Giuseppe Bonaparte si devono poi due provvedimenti chiave. Il primo è l’istituzione di un nuovo stemma del Regno di Napoli, l’1 dicembre del 1806. Riportiamo il testo della legge:”
1. Scudo delle armi imperiali di Francia: Aquila d’oro con fulmini negli artigli in un campo azzurro, coperto dalla corona imperiale di Francia, e col
manto imperiale de’ Principi Francesi in argento sparso di api d’oro.
2. Città, e Provincia di Napoli; Cavallo nero sfrenato in campo d’oro.
3. Terra di Lavoro: Cornucopie d’oro legate da corona d’oro in campo azzurro.
4. Principato Citra: Bussola marittima alata, in mezzo a due campi, uno di argento colla stella polare, e l’altro nero.
5. Basilicata: Mezza aquila coronata con onde al di sotto in campo d’oro.
6. Calabria Citra: Croce ner.a in campo d’argento.
7. Calabria Ultra: Pali vermigli in campo d’oro, fiancheggiati da croci nere in campo d’argento.
8. Terra d’Otranto: Pali vermigli in campo d’oro, sopra i quali un delfino d’argento con mezza luna in bocca.
9. Terra di Bari: Pastorale d’oro in campo azzurro, fiancheggiato da due campi d’argento.
10. Capitanata: Un monte d’oro con spighe di grano, sopra del quale un Angiolo in campo azzurro.
11. Contado di Molise: Ghirlanda di spighe di grano in campo rosso, con una stella di argento in mezzo.
12. Principato ultra: Una corona d’oro fra due campi, uno rosso, e l’altro d’argento.
13. Provincia di Chieti: Una testa di cinghiale, sopra la quale un giogo
rosso in campo d’oro.
14. Provincia dell’Aquila: Aquila coronata assisa sopra tre monti d’oro in
campo azzurro.
15. Provincia di Teramo: Banda d’argento con due croci d’argento in
campo rosso.
16. Regno di Sicilia: Trinacria d’argento in campo d’oro.
17. Corona d’oro usata nelle armi de’ Re di Napoli.
18. Manto Reale bleu azzurro fregiato di scacchi bianchi e rossi, secondo
le armi de’ Re Normanni fondatori della monarchia, foderato di armellino.
19. Due Sirene, che sostengono lo scudo delle armi della Corona. Una di
esse porta il cornucopia, e l’ancora; e l’altra il cornucopia, ed un timone antico.
20. Collana della Legione d’onore istituita dall’Imperatore de’ Francesi, e
Re d’Italia.
Dell’Arma abbreviata pel piccolo sigillo
l. Scudo delle armi di Francia, ornato dalla corona Imperiale.
2. Arma del Regno di Napoli, composta di cornucopia d’oro, e del delfino
d’argento sopra un campo azzurro.
3. Arma del Regno di Sicilia, indicata dalla Trinacria d’argento in campo
d’oro.
4. Collana della Legione d’onore.
5. Corona, e manto Reale di Napoli bleu azzurro, con lo scacchiere
bianco, e rosso.
6. Giro pel nome del Dipartimento, a cui appartiene il Sigillo.
Certificato conforme al modello annesso alla legge del l Decembre 1806.
Il Segretario di Stato firm. F. Ricciardi”
L’altro importante provvedimento è l’istituzione del Reale Ordine delle Due Sicilie, il 24 febbraio 1808, per compensare i servigi resi al Regno di Napoli a due anni dal suo insediamento sul trono.
L’Ordine si divideva in tre classi dei Dignitari, Commendatori e Cavalieri ed ebbe per fregio una stella d’oro a cinque raggi smaltata di rosso recante nel recto lo stemma di Napoli e nel verso quello della Sicilia con la scritta “Joseph Neapoles Siciliarum rex instituit” sormontata dall’aquila napoleonica.
Il sovrano se ne servì per ricompensare chi lo aveva aiutato nella conquista di Napoli e chi era stato protagonista del suo progetto riformista.
Dal decreto di istituzione sappiamo che il giuramento seguiva questa formula: “Io giuro di consecrar la mia vita alla difesa, ed alla gloria della corona, e dello stato”.
L’Ordine godette dei beni sottratti agli ordini di Malta e Costantiniano soppressi dai francesi (decreto del 5 novembre del 1808), e giunse a comprendere cinquanta dignitari, cento commendatori e cinquecento cavalieri, con Murat divenuti seicento; era dotato di centomila ducati e ciascun cavaliere godeva di una pensione di cinquanta ducati annui.
Con decreto del 5 novembre del 1808 fu confermato ed in parte modificato dal nuovo re Gioacchino Murat e poi mantenuto da Ferdinando I a restaurazione avvenuta. Fu soppresso solo nel 1819 e sostituito con l’Ordine di San Giorgio della Riunione.
Autore articolo: Angelo D’Ambra