Ferruccio Parri a Poggioreale

Ferruccio Parri, insieme a Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Adriano Olivetti, organizzò la celebre fuga di Filippo Turati e dello stesso Pertini in Francia, navigando da Savona con un motoscafo guidato da Italo Oxilia. Arrestato, fu condannato prima a 10 mesi di carcere e poi a 5 anni di confino. Venne relegato a Ustica, Lipari e Vallo della Lucania. Su L’Astrolabio del 21 luglio 1968, Parri ricordò la sua notte di detenzione nel carcere di Poggioreale.

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A Poggioreale ci sono stato anch’io. Ci sono solo passato veramente per una sosta di due giorni ed una notte, una quarantina di anni addietro, in transito dal carcere di Savona al confino di Ustica. Allora era un carcere nuovo, un carcere modello, gloria del regime e di Napoli fascista.
Eravamo stracchi e sfessati per la lunga traduzione in cellulare, veramente penosa. I polsi dolevano per l’ammanettamento permanente. I carabinieri della scorta, poveri diavoli, veramente non ci mettevano del loro nessuna mala volontà: obbedivano ad ordini rigorosi.
Affioravano invece già tra gli ufficiali le grinte di quelli che facevan carriera col fascismo, primi campioni di quella famigerata rete di marescialli che furono dell’Italia provinciale il sostegno più fido del regime, più valido che non i parroci. Ci scontrammo con l’arroganza burbanzosa di taluno di questi, e ci andò bene perchè erano spesso vendicativi.
Passammo alla matricola. Chi ha un minimo di pratica di galera sa che qui si fa l’incontro con i regolamenti carcerari con quel che hanno di più irragionevole, e se c’è di mezzo qualche carceriere rozzo la iniziazione è dura. Questi che c’erano allora a Poggioreale erano borbonici spaccati, abituati a trattare con i ladruncoli di basso porto e felici di poter svillaneggiare questi borghesucci con i lussi politici. Conservo il rimorso di non aver preso a schiaffi il capo di questi sbirri di scrittura per il modo indegno con il quale trattò Albini. Un vero fetente.
Albini Ettore, già cronista teatrale dell’Avanti!, amico tra i più intrinseci di Turati, era tra noi il più anziano. Uomo di sterminate letture, coltissimo in fatto di letteratura e teatro, testimone prezioso e vivacissimo del più interessnte ventennio del socialismo milanese, usava l’italiano come lingua d’uso di secondo rango, e pretendeva che anche i secondini capissero il suo milanese. Forse è andato all’infero perchè non mi ha dato retta, e non ha voluto dettare le sue memorie, ma se è andato in paradiso scommetto che ha interpellato S. Pietro in meneghino.
Passammo il giorno così come si poté, senza rancio perchè la cucina non ci aveva preso in forza, senza spesa perch quelli in transito non ne avevano diritto. Fu un guaio quando venne l’ora di dormire. Ci avevano messo in sei in una cella di punizione individuale: pare ci fosse affollamento straordinario in galera perchè Napoli festeggiava esultante la visita augusta di sua altezza reale il principe. Assegnammo il tavolaccio ad Albini, due potevano sdraiarsi per terra di fianco, uno davanti di traverso, e due ci stavano sì e no seduti per terra. Per via di sua altezza potemmo avere solo un pagliericcio sdrucito ed un lenzuolo. In compenso una bella luce restò accesa tutta la notte.
Quella certa anzianità carceraria che io avevo mi teneva diffidentissimo delle cimici. Sorvegliavo il tavolaccio: niente; meno male. Ma poi, all’odore insolito di carne, ecco la fila di bestioline rosse che cominciano a scendere dal soffitto. Puntano su Albani che ronfava imperturbabile. Comincio a schiacciare. Poi aiutato da Dabove le brucio con i cerini, con piccole torce incendiarie di fortuna. Distruggevo una schiera, ed ecco dopo un poco un’altra scendeva da un’altra direzione all’assalto. Quante ore passai in questa epica battaglia? Quando arrivai a 300 lasciai di contare le vittime. Seguitai finché potei; poi smisi, venne l’alba e Albini si svegliò.
Questo figlio di un cane, quasi immune da morso, non si commosse affatto. Rise, e quando lasciammo quel buco infetto, per consolarmi mi propose di dedicare un ricordo alle povere bestiole. Bovio aveva dettato per Giordano Bruno una famose epigrafe in Campo dei Fiori: “a Giordano Bruno, arso non contestato”. Albini scrisse sul muro: “a 300 cimici, arse, non contestate”. Protestai che eran forse quattrocento. Ma Albini trovò che tornava meglio trecento.
Quando lasciammo il carcere ci accompagnò il fetore insopportabile dei bugioli. E’ questo l’odore che mi ritorna quando mi ricordo di Poggioreale.

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