Ferdinando IV di Napoli giura sulla Costituzione

Guglielmo Pepe, il promotore della rivolzuone napoletana del 1820, nelle sue Memorie ricordò così l’avvenimento solenne in cui Ferdinando IV giurò sulla costituzione.

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Nè per andar di anni, nè per volger di fortuna potrò mai cancellare dalla mia memoria il giorno 1° d’ottobre del 1820, in cui adunavansi per la prima volta i rappresentanti della nazione. A crescer lustro e solennità alla cerimonia ordinai venisse nella capitale parte de’ presidj di Gaeta e di Capua : onde numerose eran le schiere che facevano ala, lungo la via, dalla reggia alla vasta chiesa dello Spirito Santo, dove il principe doveva giurare la costituzione al cospetto del congresso. Il popolo della capitale e delle provincie vicine poteva appena capire nella larga strada di Toledo e nelle piazze che di tratto in tratto la tramezzano. La famiglia reale mosse a mezzodì preciso : la carrozza in cui stavano il re ed il vicario era l’ultima, ed io la seguiva cavalcando, accompagnato dallo stato maggiore dell’esercito. Si andava a passo lento; gli applausi de’ popolani eran molti, ma senza entusiasmo; era facile scorgere che re, esercito e popolo sforzavansi a far mostra di reciproca confidenza ed amore. L’istinto delle moltitudini è per lo più profetico; ed in quella occorrenza la memoria de’ passati spergiuri di Ferdinando, e la condotta che di recente aveva tenuta ne’ tre mesi scorsi , eran cagione di tristi presentimenti. La chiesa al nostro giungere era piena zeppa di spettatori , i quali serbavano un silenzio cui noi altri meridionali siam poco arvezzi. Il re collocossi in trono, ed accanto a lui stava il vicario; venivan poscia i grandi della corte, in mezzo a’ quali fui chiamato a sedere, perchè non sapevo dove situarmi.
Il re con tutte le forme richieste pronunziò il giuramento ad alta voce e come uomo che rifuggisse dal solo pensiero di nuovo spergiuro. Compito quell’atto, l’universale silenzio fu rotto da molti e reiterati plausi.
Il Galdi, presidente del parlamento, profferì un discorso, che fu più lungo del dovere, ma pieno di erudizione e di sensi patrii ; il re poscia diede un foglio al vicario, che questi lesse a nome di lui, e col quale il monarca faceva ogni sorta di belle promesse. Venne infine la mia volta. Io aveva scritto discorso affatto conciso ed energico, ma spiacque al conte Zurlo, ministro dell’interno, il quale mi appunto di parlar troppo da Spartano. Allora il pregai di scriverne uno per me, dicendogli ch’io non sapeva scrivere ciò che non sentiva, e però lessi poche parole non mie ma di Zurlo, le quali dicevan così : « Vedo Vostra Maestà circondata da’ rappresentanti della nazione, sul glorioso trono costituzionale, oggetto dell’amore e della riconoscenza pubblica. E questa l’epoca più memorabile della nostra storia, ed i miei voti sono adempiti. Fedele alla mia promessa , ed a’ precetti costituzionali, io depongo a’ piedi di Vostra Maestà, ed in presenza de’ rappresentanti della nazione, il comando supremo dell’esercito, ch’ il solo attaccamento alla patria, ed a’ veri interessi di Vostra Maestà, e della vostra augusta dinastia m’ hanno fatto accettare. » Io non potei leggere con energia sì deboli parole. Il re rispose : « Accetto la vostra rinunzia, e nel tempo stesso vi accerto della mia soddisfazione e riconoscenza, per aver saputo così bene conservar l’ordine e la tranquillità nelle passate emergenze ».

 

 

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