Storia del Cristianesimo: Enrichetta Alfieri, la mamma di San Vittore

La beata Enrichetta Alfieri emise i voti religiosi temporanei il 10 settembre del 1917, nel pieno della Grande Guerra. Finì come educatrice all’Asilo infantile “Mera” di Vercelli, ma, per motivi di salute, dopo pochi mesi dovette essere trasferita alla Casa provinciale, sempre a Vercelli.

Le sue condizioni di salute purtroppo si aggravarono e, nell’aprile del 1920, fu portata a Milano e sottoposta a numerose indagini specialistiche e terapie, senza però ottenere risultati positivi. La affliggeva la spondilite degenerativa, una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce primariamente lo scheletro assiale che la tenne immobilizzata a letto tra atroci dolori per i successivi tre anni. I medici la dichiararono inguaribile.

La superiora provinciale volle allora inviarla in pellegrinaggio a Lourdes con la speranza che la giovane suora possa ottenere un miracolo, così il 24 agosto del 1922, con una lettiga speciale, suor Enrichetta fu portata in Francia. La guarigione non avvenne, ma lei si sentiva egualmente graziata, più forte nell’accettazione della sua sofferenza. Poi, dopo aver sorseggiato per l’ennesima volta un goccio dell’acqua di Lourdes, ecco il miracolo: la suora si alzò dal letto completamente ristabilita, improvvisamente, generando stupore tra le consorelle e i medici.

Carica di entusiasmo e di voglia di servire il prossimo fu destinata al carcere milanese di San Vittore, dove era superiora suor Elena sua zia. Era solita condurre le detenute sotto la grotta di Lourdes costruita dentro al carcere per pregare e per dare conforto a tutte. Istituì pure laboratori, scuole ed una silo nido per i figli delle detenute. Verso la fine del 1939, Enrichetta divenne superiora della comunità delle suore addette alle detenute del carcere.

Nel frattempo la guerra irruppe anche nel carcere. Il 10 settembre ’43 i tedeschi occuparono Milano e solo nel febbraio del 1944 le suore, compresa Enrichetta Alfieri, poterono tornare al carcere.

I nazisti guidarono il carcere come un campo di concentramento. San Vittore divenne un luogo di interrogatori, torture fisiche e morali, condanne e partenze per i campi di sterminio. In questo contesto si ricorda l’acceso scontro tra la suora e il caporale Franz, vicecomandante del carcere, quando partì un gruppo di ebrei per la Germania. Tra essi suor Enrichetta aveva visto una madre incinta che trascinava per mano un altro bimbo ed era corsa a rimproverare: “Se ha moglie e un bambino anche lei, pensi a queste creature che non hanno niente di diverso da loro. E faccia qualcosa per salvarle”. Quelle parole colpirono il caporale, l’ebrea e il bambino furono lasciati liberi e portati dalle suore in infermeria.

Fu così che Enrichetta iniziò la sua collaborazione con la Resistenza. Le suore, infatti, portavano messaggi ai membri del CLNAI, avvertimenti, notizie, recapiti, ma anche denari, viveri, indumenti. Entravano ed uscivano dal carcere, con pettorine, tasche e scarpe piene di ogni sorta di cose e di posta di tutte le specie. Suor Enrichetta era in prima linea portando medicinali e notizie che faceva pervenire ai più minacciati per evitare arresti e deportazioni. Grazie a lei in molti scamparono ad arresti e perquisizioni, la sua azione temeraria salvò molti ebrei dalla deportazione e molti partigiani dalla cattura.

Tra i tanti che furono aiutati dalla coraggiosa suora ci fu anche Idro Montanelli che così scrisse: “Nel 1944 fui imprigionato per circa un anno a S. Vittore. Mia moglie, Margherita, austriaca e fiancheggiatrice della mia attività a favore della Resistenza fu incarcerata con me. Non insieme, va da sé. All’inizio quel fruscio benedetto annunciava un messaggio: poche righe buttate giù in fretta, da leggere col cuore in gola, ma ogni parola riaccendeva la vita. Poi, una notte, suor Benedetta aprì silenziosamente la porta della mia cella. Non disse nulla e sempre senza parlare mi guidò fin dove si  trovava mia moglie. Fu il primo di brevissimi ma innumerevoli incontri notturni. Solo chi ha provato la desolazione della prigionia può capire il valore dell’abbraccio di una persona cara. Per quei pochi istanti rubati alla disperazione suor Enrichetta rischiava la deportazione, forse la vita. Né io né mia moglie fummo gli unici beneficiari della sua coraggiosa carità: tra i tanti ricordo anche Mike Buongiorno non ancora ventenne, detenuto insieme alla madre che era cittadina americana. A san Vittore faceva lo ‘scopino’ e ben presto divenne colonna della caritatevole rete clandesinta di suor Enrichetta…”.

Il 23 settembre, vivamente pregata da una detenuta di origini armene, suor Enrichetta accettò di portare un biglietto ai suoi familiari al fine di salvare i fratelli della detenuta che erano ricercati. Il messaggio fu affidato ad una guardiana e poi ad una terza collaboratrice che fu scoperta. La suora allora venne arrestata con l’accusa di spionaggio.

Fu rinchiusa in una cella di isolamento con matricola n. 3209. Doveva essere trasferita in un lager, ma l’intervento del cardinale Ildefonso Schuster ottenne che lei fosse condannata al confino. Dopo undici giorni di carcere, Suor Enrichetta fu così internata a Grumello del Monte. Potè rientrare a Milano con la liberazione, ormai divenuta per tutti “la mamma di San Vittore”.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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