Elia della Costa, il cardinale che salvò Firenze

Se le statue di Michelangelo e di Benvenuto Cellini, le pitture di Giotto e le preziose chiese fiorentine non finirono devastate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale fu anche grazie all’opera del cardinale Elia della Costa. Eppure egli si servì solo del fascino artistico che Firenze esercitava sui nazisti per salvare in realtà la sua popolazione.

Voleva che Firenze venisse dichiarata “città aperta” perchè non divenisse nè una piazza d’armi nè un bersagli di guerra. Era corsa voce che i belligeranti avessero trovato un tacito accordo in merito, ma il cardinale sapeva che non esisteva alcuna garania per l’incolumità della città.

Scrisse allora ad Hitler, pur sapendo che il fuhrer lo odiava sin dal 1938 quando, in occasione della visita del dittatore, aveva fatto lasciare le finestre del palazzo arcivescovile chiuse e si era rifiutato di partecipare alle celebrazioni del regime. Hitler gli rispose che considerava Firenze un gioiello d’Europa e che non l’avrebbe toccata, però poi fece piazzare le sue batterie nel Giardino dei Semplici, vicino a Piazza Duomo e vicino a Palazzo Vecchio. Anche gli alleati non se ne curarono e bombardarono la città il 25 settembre del 1943. Le granate caddero lontano dai monumenti, ma seminarono così tanti morti che il cardinale parlò di “giornata di tremendo, altissimo lutto”.

Dalla Costa non si perse d’animo e tentò allora di accordarsi col console tedesco Gerhard Wolf e col colonnello Eugeni Dollmann. I due portarono la sua richiesta a Kesselring, comandante delle trumme tedesche in Italia e alla fine il cardinale riuscì ad ottenere un centinaio di certificati con la firma del feldmaresciallo in cui si leggeva: “Questa proprità… questa villa… questo monumento… è sotto la protezione diretta del feldmaresciallo e non deve essere toccato”. Non si fermò e ancora con un’ultima lettera chiese a Kesselring di proclamare Firenze città aperta. La risposta fu accondiscendente: “Mi rimetto a voi dunque, Eminenza, perchè procuriate una chiara e valida dichiarazione degli Alleati che essi rispetteranno Firenze come città aperta, e cioè di non sfruttare militarmente, in nessun modo il territorio della città…; allora da parte mia sono disposto a mantenere integralmente le misure già prese. Da parte mia, Eminenza, dò l’assicurazione che sarei particolarmente felice se, malgrado le folli distruzioni fatte dei luoghi di cultura della mia patria, mi fosse concesso di impedire che la guerra imperversi in luoghi unici per cultura e arte cristiana”.

Allora tentò di arrivare agli Alleati, ma alla fine del mese il colonnello Fuchs, comandante la piazza di Firenze, diede ordine di sfollamento immediato. Il 4 agosto il cardinale capì che la parola del feldmaresciallo era stata ritirata: un boato fece sussultare la città, erano stati fatti saltare i quattro ponti di Firenze, tutti tranne Ponte Vecchio. Il cardinale corse tra le rovine e i fiorentini lo videro piangere.

Ma dietro quelle lacrime c’era l’impegno, rischiosissimo, messo in campo per proteggere gli ebrei fiorentini. Aveva infatti promosso la creazione di un comitato clandestino sotto la guida del sacerdote Leto Casini e collaborava con i monasteri di Assisi per la produzione di passaporti falsi.

Complessivamente Firenze subì ben 325 allarmi, 25 attacchi e 7 bombardamenti pesanti. In nessuna di queste occasioni la contraerea riuscì mai ad abbattere un solo aereo nemico. I morti furono più di 700. Furono danneggiati la Loggia del Bigallo, il Campanile di Giotto e la Galleria degli Uffizi.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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