Cynthia Ann e Quanah Parker, storie di identità e cambiamento

La mattina del 19 maggio 1836, meno di tre settimane dopo che Sam Houston distrusse l’esercito di Santa Anna nella battaglia di San Jacinto sul fiume Brazos, mentre il resto del Texas celebrava la sua libertà, gli abitanti di Fort Parker, intenti a rafforzare la palizzata esterna, scorsero una grossa banda di indiani. I nativi – perlopiù wichitas, ma c’erano comanche e keechis – smontarono da cavallo e si avvicinarono senza tensione. Non c’erano avvisaglie di violenza eppure si consumò uno dei più cruenti massacri di bianchi.

I guerrieri indiani uccisero tutti gli uomini del forte, giovani e anziani, scalpando e deturpando i loro corpi. Fecero pure prigionieri donne e bambini. Tra questi c’era Cynthia Ann, di soli nove anni. Davanti ai suoi occhi gli indiani avevano ucciso suo padre, suo nonno John e i suoi zii John e Benjamin. Prigionieri erano stati fatti pure suo fratello, Silas Mercer Jr., di tre anni, sua madre, Lucy Duty, e sua sorella minore Orlena, di appena quattro mesi. Gli indiani presero anche sua zia Phoebe Hassell, dopo aver spaccato il cranio di sua figlia Sally contro un albero, disturbati dal continuo pianto della piccola.

Nei sei anni successivi, la famiglia Parker, capeggiata dallo zio Isaac, riuscì a riscattare tutte le donne e i bambini sopravvissuti, tranne Cynthia Ann. Lungo la frontiera del Texas, per ventiquattro anni, la sua vicenda echeggiò ovunque. In tanti, comancheros, militari, funzionari federali, prigionieri riscattati, dissero di averla vista. Gli indiani la chiamavano “Nadua”. Si seppe pure che aveva sposato Peta Nocona, un temuto guerriero tenewa in ascesa, e che, sedicenne, aveva dato alla luce il suo primo bambino, Quanah, futuro grande capo guerriero (ne avrebbe avuto altri due, Pecos e una femmina, Topusana). La sua famiglia si impegnò in lunghe, estenuanti e costose ricerche, ma fu tutto inutile.

Nel 1860, una serie di attacchi sanguinari di comanches o kiowa a delle fattorie poste al confine tra Texas e Messico, nell’area di Palo Pinto, spinsero i ranger ad intervenire. Li guidò il futuro governatore Lawrence Sullivan “Sul” Ross. Era la seconda settimana di dicembre. Tre colonne di uomini armati, in tutto ventisette uomini affiancati da un distaccamento di diciotto soldati del II Dragoni, lasciarono Palo Pinto e si diressero a nord per una traversata del fiume Brazos. Nella retroguardia c’era la milizia cittadina di Cureton che contava un numero imprecisato di uomini. Si fermarono dopo due giorni sul Trinity River, poi ripresero la marcia sfidando il vento. Pativano il freddo della stagione, non riuscivano ad avanzare e, alla fine, i ranger persero ogni contato con i civili armati.

Insperatamente però individuarono, presso il fiume Pease, un villaggio di comanche in procinto di trasferirsi. C’erano uomini che preparavano carri, altri che abbattevano tepee, donne che raccoglievano gli oggetti da portar via. Ross convocò gli uomini. Rendendosi conto che i suoi stessi cavalli erano troppo stanchi, optò per un attacco rapido, senza attendere la milizia di Cureton. Guidò i rangers nella discesa delle colline, mentre i dragoni girarono intorno per bloccare la ritirata dei comanche. Ai primi spari gli indiani si diedero alla fuga. Numerosi guerrieri caddero colpiti, trecentocinquanta cavalli furono catturati e si contarono diversi prigionieri. Tra essi ci fu una donna bianca dagli occhi azzurri che aveva pure farfugliato “non spararmi, sono americana” e aveva una bambina con sé.

Non sapeva parlare bene inglese e non ricordava il suo nome di battesimo, né dettagli della sua vita prima di entrare a far parte dei comanche, rammentava però la sua cattura e lo fece capire ai ranger. Si pensò subito che potesse essere lei Cynthia Ann Parker e la si portò al cospetto dello zio Isaac. L’uomo, carico di dubbi, cercò di capire l’identità della misteriosa donna che aveva davanti e menzionò il nome della nipote scomparsa. Fu così che l’indiana bianca si colpì il petto dicendo: “Io sono Cynthia Ann”.

Il Texas esultò, aveva salvato il suo onore e una vita. A Cynthia furono concessi quattromila acri di terra e una cospicua pensione. Si era chiusa bene una storia durata ventiquattro anni. La donna fu mandata alla fattoria di suo zio per vivere tra le cure della sua famiglia. Tutti, però, tacquero il fatto che si mostrasse ostile e recalcitrante. Le mancavano i figli, di suo marito si diceva che fosse stato ucciso nella battaglia del fiume Pease e lei non aveva alcuna intenzione di reintegrarsi nella società dei bianchi. Chiese di poter ritornare dagli indiani, ma ciò le fu negato. Tentò più volte persino di scappare, ma non vi riuscì.

Intanto, assetati di vendetta, i comanche si scatenarono in più irruente incursioni nella contea di Palo Pinto e negli insediamenti circostanti di Jacksborough e Fort Belknap. Per due anni seminarono morte e terrore. Come conseguenza di ciò, la popolazione frontaliera crollò drasticamente. In almeno cinque delle contee intorno a Palo Pinto, i governi locali della contea cessarono di esistere, sciolti per mancanza di cittadini. In risposta, la pressione dell’esercito divenne più aspra.

Cinthya decedé nel marzo 1871 a casa di una sua sorella, dopo aver rifiutato cibo e acqua in conseguenza della morte di Topusana per polmonite.

Suo figlio Quanah, l’unico rimasto in vita, si guadagnò con gesta guerriere il rispetto del suo popolo in una serie di scorrerie e soprattutto nell’attacco all’accampamento di cacciatori di bisonte ad Adobe Walls. La sua storia per molti aspetti fu diametralmente opposta a quella della madre.

Che nelle sue vene scorresse sangue bianco si vedeva ad occhio nudo. A differenza dei comanche aveva un fisico longilineo e una diversa struttura muscolare. Diversamente dalla madre, che si rifiutò sempre di tornare a parlare inglese e di adottare i costumi dei bianchi, Quanah superò il conflitto identitario che si portava dentro mostrando grande intelligenza e duttilità. Capì che era dannoso continuare una guerra che avrebbe condotto i comanche all’annientamento, e, arresosi al colonnello Ranald MacKenzie e finito nella riserva di Fort Sill, in Oklahoma, si dedicò all’agricoltura e all’allevamento di bestiame. Comprese perfettamente che gli indiani potevano adattarsi al cambiamento assumendo una diversa condotta di vita. Così, fittò pascoli e comprò animali, investì persino in una linea ferroviaria, la Quanah, Acme e Pacific Railroad, che passava attraverso Quanah, una città del Texas che aveva preso il suo nome. Quando si spense, nel 1911, era l’indiano più ricco dei suoi tempi.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Articolo pubblicato su planetcountry.it

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