Come funzionava il governo angioino?
Non pochi sono i contributi storiografici dedicati agli aspetti politici ed istituzionali del Regno di Napoli sotto il governo angioino. Tuttavia l’argomento continua ad essere ostico e poco conosciuto, al più legato all’analisi del fiscalismo e dei contrasti tra Corona e Baroni. La Magna Regia Curia angioina, istituita sul modello degli usi di Inghilterra e Normandia proprio dai principi normanni, era estremamente composita, essa presentava sette figure amministrative che, avvalendosi della collaborazione di alti dignitari, erano addette alla direzione dei diversi rami di governo (vd. R. Trifone, Gli Organi dell’Amministrazione Angioina).
Il Gran Contestabile ricopriva la prima dignità del regno, precedeva baroni e dignitari nelle pubbliche cerimonie, sedeva alla destra del re nei Parlamenti, gli cavalcava davanti nelle funzioni solenni portando nella mano destra quella spada, simbolo del comando generale dell’esercito, che aveva ricevuto al momento dell’investitura. Il Grande Ammiraglio deteneva l’alto comando di tutte le forze navali del regno e sotto la sua direzione cadeva ogni affare marittimo, compresa la nomina dei comiti, i capitani della flotta.
Desta sicuramente interesse, invece, l’esistenza ancora nel XIII secolo di cariche di origine bizantina quali quelle di Logoteta e di Protonotario che il secondo Carlo riunì in capo ad una sola persona. Il Logoteta, termine letteralmente traducibile con l’espressione “ordinatore di parole”, presiedeva alla spedizione ed al controllo di tutti gli atti regi, prendeva parola in nome del re nelle circostanze solenni, rispondeva alle petizioni indirizzate al re, promulgava gli editti sovrani, riceveva nel nome del re. Il Protonotario, viceversa, aveva l’alta giurisdizione su tutti i notai del regno, redigeva gli atti reali che il Logoteta promulgava, rispondeva per iscritto alle lettere inviate al sovrano, mentre il Logoteta poteva rispondere solo oralmente alle petizioni fatte a voce. Le due figure si riunirono probabilmente in qualche occasione sin dall’età di Federico II in cui si registra la presenza nel 1208 di un Andrea logoteta e nel 1247 di Pier della Vigna, qualificatisi anche come protonotaro, ponendo le basi per la nascita della figura del Cancelliere addetto alla segreteria di Stato, così diffuso nelle più recenti monarchie tant’è che dal 1294 divenne di fatto il centro della Magna Curia.
Il Gran Camerario, figura istituita proprio da Carlo I, secondo Cutolo, o più probabilmente di derivazione normanna e sveva, si occupava originariamente della camera del re e della sua persona fisica, col tempo giunse a sopraintendere all’amministrazione finanziaria dell’intero regno e a presenziare alle sedute della Camera dei Conti. Il Gran Cancelliere sigillava lettere, rivedeva gli atti, aveva diritto di giurisdizione sull’elemento ecclesiastico, provvedeva all’invio delle lettere, apponeva la sua sottoscrizione a privilegi e terre concesse, badava alla direzione degli studi. Tale ufficio non era stato diviso dai Normanni secondo le mansioni onorifiche od effettive affidate in Francia ed in Germania a prelati, cappellani e notai, restava unico. Carlo I, seguendo l’uso adottato da San Luigi e da Alfonso di Poitier di tenere unite la cancelleria con la cappella reale e quindi di affidare la direzione della Cancelleria a dignitari ecclesiastici, seguì le indicazioni di Guglielmo di Beaumont, nominando un vice cancelliere ed alcuni consiglieri. Fino al XIV secolo la carica fu ricoperta dall’abate di Montecassino.
L’organizzazione definitiva della Cancelleria avvenne per opera di Carlo Martello, re di Ungheria e Vicario generale del Regno nell’aprile del 1296, per cui, anche dopo il ritorno di Carlo II, essa restò divisa negli uffici di Cancelleria, propriamente detta, di Razione e di Magna Curia, presieduta dal Maestro Giustiziere e composta da tre giudici, tre avvocati fiscali, procuratori e notarii actorum. Il Gran Siniscalco sopraintendeva all’andamento della casa del re, all’amministrazione generale dei beni della corona, ma anche alla guardia degli stagni e delle foreste reali. Nominava e destituiva quanti erano preposti alla gestione dei beni della corona, nonostante in pieno periodo durazzesco non si segnala un unico Gran Siniscalco, ma tanti siniscalchi (vd. A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo). Il Gran Giustiziere era la più alta carica giurisdizionale, giudicava i delitti di lesa maestà, le questioni feudali, le cause contro i signori, raccoglieva suppliche e gestiva la Curia penale (detta anch’essa Magna Curia) e la Curia Vicaria, destinata alle cause civili e creata da Carlo II. A tali due magistrature facevano capo gli organi provinciali, i giustizieri, portolani, notai, mastrodatti, assessori in una proiezione che da Napoli, il centro, si irradiava nelle province e poi nei feudi. In verità ogni carica poteva vedersi privata di qualche attribuzione a favore di chi fosse riuscito a guadagnarsi la stima del sovrano, per questo la nomina d’ogni ufficio era seguita dall’emissione di nova capitula relativi alle sue attribuzioni.
Autore articolo: Angelo D’Ambra