Catone e il mondo ellenico

Marmorale, in Cato Maior, si sofferma sul rapporto tra Marco Porcio Catone e la cultura ellenica.  Catone mostrò grande avversione nei confronti dei greci i quali avrebbero addirittura ardito un complotto fra i medici per eliminare i romani.

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Catone apprese presto il greco, certo nella sua giovinezza, e conobbe anche la letteratura greca, Demostene, Tucidide, ed altri scrittori, specialmente di cose storiche: anzi, benché ciò non apparisse ad Attico e a Cornelio, egli studiò molte opere greche di retorica, dalle quali a lui deriva l’uso di figure retoriche, chiasmo, allitterazione, poliptoto ecc., che altrimenti meraviglierebbero nel primo prosatore della letteratura latina. Qualche volta si ha addirittura l’impressione ch’egli precorra i metodi dei più ampollosi oratori latini…

Tuttavia Catone non amò i Greci specialmente, io penso, per la loro boria; genus, anche al tempo di Plinio, in gloria sua effusissimum, essi, gonfi della loro civiltà, mostravano apertamente di stimare solo se stessi, chiamando barbari tutti gli altri popoli, e spurcius quam alios offendevano i Latini Opicon appellatione. Il nome Opici, “coltivatori”, non era un’offesa in sé, ma per il significato dispregiativo che ad esso si univa; e Catone era troppo fiero di sé e del popolo suo per sopportare simile disprezzo.

Io non so se Catone fosse veramente convinto di quanto diceva dei medici greci nel famoso frammento dei Libri ad filium, o non piuttosto, esagerando per partito preso, volesse inculcare nel suo figliuolo odio, antipatia e sospetto un po’ per vendicarsi della poca stima che i Greci favecano degli altri popoli, e dei Latini che si apprestavano a dominarli, un po’ per controbattere la propaganda filoellenica del partito degli Scipioni…

I Greci e gli Orientali ellenizzati già al tempo di Catone cominciavano ad invadere Roma, servili e sprezzanti nel tempo stesso; e Catone vide un pericolo in tutto ciò che essi apportavano e che ai suoi occhi di tradizionalista non potevano essere che corruzione e immoralità. “E fa conto che te l’abbia detto un profeta” avverte il figliuolo; “ogniqualvolta codesto popolo parteciperà agli altri la sua dottrina, corromperà ogni cosa”. E non risparmiò i suoi colpi a tutti gli ellenizzanti romani, a Scipione, a Fulvio Nobiliore, ad Aulo Postumio Albino, a quanti a lui sembrassero dimentichi della dignità romana e scimmiottatori di mores transmarini.

 

 

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