Catania, la fontana dell’Amenano
Nell’angolo sud ovest di Piazza Duomo, nello spazio compreso fra Palazzo dei Chierici e Palazzo Pardo, il turista giunto a Catania scorge la Fontana dell’Amenano. Chi la guarda può restarne ammaliato. Il fascino classicista delle forme scolpite indugerebbe a pensarne una più remota età di erezione, ma si cadrebbe in errore. Posta in quell’angolo, la fontana sembra non voler rubare la scena a quella più nota sormontata da un elefante e collocata al centro della piazza, ma non vi riesce.
Più di quanto si possa immaginare, la sua storia segna lo sviluppo urbanistico della città etnea. In passato le fontane erano utilizzate per l’approvvigionamento idrico ad uso domestico e per l’abbeveraggio di animali da lavoro, dunque la loro collocazione in una stradina o in una piazza poteva effettivamente determinare la nascita di un luogo di incontro e di attività commerciali. La storia di questa fontana è invece legata a diverse vicende che, pur connesse allo sviluppo di Catania, riguardavano il problema spinoso della disciplina delle acque di un fiume.
L’opera di Tito Angelini
Era il 1867 quando lo scultore Tito Angelini poté sfoggiare la sua creatività modellando il bianco marmo di Carrara ed ergendo quella che è una delle più belle fontane dell’isola di Sicilia. Fu un simbolo di trionfo per l’uomo che riesce a domare la natura; i catanesi avevano in quell’anno finalmente regolamentato il corso dell’Amenano che per lungo tempo aveva reso l’area paludosa e soggetta a straripamenti.
Il giovane fiume è raffigurato in questa fontana ritto in piedi con una cornucopia e da quel simbolo di fertilità ed abbondanza trasborda l’acqua che si riversa in una piccola vasca sottostante a forma di conchiglia ed a bordo bombato.
Ai lati estremi sono collocati due tritoni dai muscoli in tensione che concorrono a riversare l’acqua. Ne nasce una cascata che precipita in modo uniforme sul basamento con lo stemma di Catania, trasmettendo in chi guarda l’effetto di un lenzuolo steso. L’Amenano, dio-fiume venerato in città in epoca classica ed impresso sulle monete dell’antica Katane con l’aspetto di toro androprosopo, indica con la mano sinistra il basso, il mistero che cela il sottosuolo siciliano, la terra in cui Ade rapì Proserpina, e di fatti non si sa dove possano trovarsi le sue sorgenti, se presso Randazzo, Nicolosi o altrove.
Un fiume misterioso
Dal greco amènanos poi latino amenànus, il fiume Amenano è citato nei Fasti di Ovidio nel racconto del pellegrinare di Cerere (“iamque Leontinos Amenanaque flumina cursu / praeterit et ripas, herbifer Aci, tuas…”), da Strabone nel Rerum Geographicarum (“quod Amenano evenire fluvio perhibent Catanam perfluenti, qui per aliquot…”) e di nuovo da Ovidio nelle Metamorfosi (“nec non Sicanias volvens Amenanus harenas nunc fluit, interdum”). Carlo Gemmellaro riporta che nel Medioevo fu detto “Judicello” perché attraversava il quartiere della Giudecca e sappiamo inoltre che fu quasi interamente coperto dall’eruzione del 1669. Oggi emerge solo in questa fontana dove l’acqua “a linzolu” si riversa nella vasca e si congiunge al letto del fiume per continuare il suo percorso due metri sotto la piazza fino a riversarsi nel golfo.
Lo scrosciare dell’acqua a volte non riesce a coprire le voci del mercato del pesce che arrivano dalla piazza Alonzo di Benedetto e che attirano il turista in uno dei luoghi più caratteristici della città, la ‘a piscaria, il mercato ittico di Catania.
Due passi più in là..
La fontana dell’Amenano funge dunque anche da accesso alla Pescheria, lo storico mercato del pesce di Catania che si dipana sotto la Porta Carlo V. Qui incontriamo un’altra fontana, stavolta ben più antica, che condivide le stesse acque. Parliamo della seicentesca Fontana dei Sette Canali.
La fontana fu eretta nel 1612 da quel Don Pedro Girone Duca d’Ossuna, celebre condottiero di Filippo III, che quattro anni dopo avrebbe lasciato l’isola per raggiungere Napoli in qualità di nuovo vicerè.
Vi leggiamo l’iscrizione: “D. O. M. Philippo III Hispaniarum et Siciliae Rege invictissimo D. Petro Giron Ossunae Dvce Pro rege, D. Carolvs Gravina Patritivs, Don Matthevs De Alagona,D. Hieronymus Paterno, Fabritivs Tornambeni, Hercvles Tvdiscvs, Joannes Baptista Scammacca et Don Ioseph Fimia Vrbis Senatores, canales aquae vetustate pene collapsos opere marmoreo magnificentiore forma reficiendos publica impensa curaverunt”.
Racchiusa in una bassa volta scavata nelle fondamenta dell’ex Palazzo dei Chierici, è sopravvissuta al violento terremoto del 1693, e, seppure ora una cancellata di ferro ne inibisce l’accesso, vale la pena fare due passi più in là per fare la sua conoscenza.
Autore: Angelo D’Ambra
Catania e la Sicilia meritano più attenzione nelle politiche del turismo