Ariberto d’Intimiano

Morto Arnolfo, arcivescovo di Milano, nel 1018, gli successe Ariberto d’Intimiano, un nobile chierico d’origine longobarda, voluto – secondo i cronisti – dai maggiorenti della città, i cosiddetti capitanei, principali vassalli episcopali. Non furono dunque il clero ed il popolo ad eleggerlo, come era solito nella diocesi, ma un’oligarchia di potenti. Fu questo un tentativo di spogliera la città del suffraggio nella scelta dell’arcivescovo? Probabilmente sì e l’Imperatore lo sostenne. La scelta fu infatti subito approvata da Enrico II che concesse la sua investitura, rito di prassi che però venne ad assumere diversa valenza. Ora era evidente la supremazia imperiale sulla chiesa ambrosiana.

Spirato Enrico, Ariberto fu l’unico degli italiani a salutare la successione di Corrado II il Salico. Mentre nella Penisola si ragionava d’offrire la corona a Roberto di Francia, a suo figlio Ugo o a Guglielmo, il Duca d’Aquitania, corse a Costanza, offrì a Corrado i suoi omaggi e lo spronò a venire presto in Italia. Il Salico seguì i suoi consigli e si fece incoronare re d’Italia da Ariberto stesso, a Milano, nel 1026, mentre Pavia osò tenergli chiuse le porte. L’Imperatore volle lautamente ringrazie Ariberto e gli conferì l’investitura della Chiesa di Lodi, prima di passare a vendicarsi dell’ostilità dei pavesi e dei ravennati, con lo scorrere le loro campagne distruggendo i raccolti e trucidando i contadini. Entrambe le città rivendicavano il privilegio che Milano aveva da gran tempo, non intendevano più essere tenuti a pagare le spedizioni italiane degli imperatori. Purtroppo non avevano una sufficiente capacità di difesa… Corrado svernò col suo esercito a spese del ricco Ariberto e poi, nella Pasqua dell’anno seguente, calò su Roma per cingere la corona imperiale. Lo scortò lo stesso Ariberto che però non partecipò alla cerimonia, offeso dalla presenza, alla destra dell’Imperatore, dell’arcivescovo di Ravenna. Fattosi imperatore, Corrado tornò sotto le mura di Pavia e riuscì ad entrarvi, poi tornò in Germania senza però dimenticare l’ambizione e l’insopportabile suscettibilità dell’arcivescovo di Milano che, nel frattempo, cingeva d’assedio Lodi imponendo un suo uomo di fiducia come vescovo, il canonico milanese Ambrogio II di Arluno.

Poco dopo Ariberto volle occuparsi degli eretici di Monforte d’Alba, località nell’Astigiano. Essi non riconoscevano la seconda persona della Trinità, interpretavano in modo allegorico il dogma trinitario, negavano la necessità dei sacramenti, rifiutavano il matrimonio ed il clero. Erano soprattutto esponenti di nobili famiglie venute in conflitto con Olderico, vescovo d’Asti, che avevano abbracciato tesi simile a quelle dei Catari. Ariberto fece irrompere i suoi armigeri a Monforte d’Alba, ne catturò i cittadini, li condusse a Milano e qui furono messi al rogo. Nel frattempo a Milano era pure sorto un partito ostile all’arcivescovo, contrariato dalla sua arroganza, dalle prepotenze, dall’aumento dei balzelli. Nel 1036 si generò una aperta ribellione che portò sangue e disordini nelle vie della città. I ribelli furono sopraffatti e cacciati subendo la vendetta di Ariberto che li spogliò di ogni bene, feudi, terre, privilegi. I fuoriusciti però non s’arresero, anzi, si unirono ai lodigiani ed ai novaresi ed i cremonesi,Ariberto infatti era pure entrato in conflitto per il controllo di alcuni monasteri e territori delle diocesi di Novara e Cremona. Nella primavera dell’anno seguente, le due parti si scontrarono nella Battaglia di Campomalo. Nello scontro, aspro e lungo, cadde il vescovo d’Asti, fautore di Ariberto. Non ci fu un chiaro vincitore e l’arcivescovo, rientrato a Milano, s’apprestò a richiedere l’aiuto di Corrado II il Salico.

Fu una mossa sbagliata perchè Corrado II s’era ormai convinto che quell’arcivescovo creava continuamente problemi con la sua bramosia di potere. L’Imperatore volle allora destituirlo. Dapprima gli tolse l’investitura della Chiesa di Lodi e già vide che Ariberto era davvero divenuto pericoloso perchè si generò una sommossa popolare in suo favore. L’Imperatore allora spostò tutto in una dieta a Pavia e qui, lontano dai facinorosi sostentori di Ariberto e circondato dagli accusatori delle altre diocesi, lo fece destituire e incarcerare in una fortezza vicino a Piacenza, sorvegliato dagli uomini del Patriarca di Aquileia e del Duca di Carinzia. Dopo circa un mese, Ariberto riuscì a fuggire col sostegno della badessa di un convento piacentino da lui consacrata, e fece ritorno a Milano dove la mossa dell’Imperatore era stata vista come un insulto alla città. Ariberto si ritrovò quindi alla guida di Milano con un più ampio sostegno cittadino, armò la popolazione e fortificò le mura mentre Corrado II si dispose all’assedio.

L’Imperatore piantò le sue tende a tre miglia dalla città, fra le porte Romana e Ticinese, non s’aspettava l’ardore dei milanesi che irruppero dalla Porta Romana e sostennero una vittoriosa sortita. In essa il visconte Eriprando trafisse il Duca di Baviera. E mentre l’assedio continuava, Corrado, per spaccare il fronte che sosteneva l’arcivescovo, emise la Constitutio de feudis riconoscendo ai valvassori l’ereditarietà dei loro titoli. Nominò poi un sacerdote della Cattedrale di Milano in luogo di Ariberto e questi rispose offrrendo la corona d’Italia al Conte Odo II della Champagne. La guerra fu portata nelle campagne lombarde e i milanesi vi apparvero per la prima volta compatti attorno al loro Carroccio descritto dal cronista Arnolfo così: “Una lunga antenna, come di nave, rizzavasi conficcata in un robusto carro, e portava in cima una palla dorata, sottol a quale pendevano due candidissimi veli. Nel mezzo una croce veneranda, con dipintavi la immagine del Salvatore, aperte le braccia, che dall’alto guardasse le schiere circostanti

Alla fine  Corrado II dovette cedere e tornarsene sconfitto in Germania mentre Milano era destinataa conoscere nuove discordie. I cives scaciarono i nobili e con essi Ariberto. Grazie a Lanzone della Corte si giunse poi a una riappacificazione tra le parti e Ariberto potè rientrare a Milano, finendo i suoi giorni il 16 gennaio del 1045.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: P. Rotondi, Ariberto d’Intimiano

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