Amalfi e la prima regolamentazione dei traffici del Mediterraneo
Correva l’anno 1929 quando Benito Mussolini, per conto del Governo italiano, otteneva da quello austriaco la consegna del cosiddetto Codice Foscarini, contenente le Tavole Amalfitane che l’insigne studioso Tommaso Gar aveva rinvenuto nel 1844 nella Biblioteca Nazionale di Vienna e che erano cadute nel totale oblio nonostante la riconosciuta grandezza della Repubblica di Amalfi.
Amalfi fu la prima a fondare colonie e consolati e ad istituire fondaci oltremare ma la reale esistenza della mitica Tabula Amalphitana o Prothontina Maris, richiamata nelle decisioni dei Consolati del Mare e delle varie magistrature mercantili del Regno di Sicilia prima ed in quello delle Due Sicilie poi, grazie agli studi del giurista Michele de Jorio, autore del primo tentativo di redazione di un Codice Marittimo del Regno di Napoli, era stata messa in discussione dal quotatissimo storiografo ottocentesco di diritto marittimo Jean-Marie Pardessus che la considerava un mito storiografico.
Il Governo italiano, nel tentativo di riaffermare il primato marinaro della nazione, ne commissionò gli studi e affidò la cura del manoscritto alla Sezione Napoletana di Diritto Marittimo, il cui Segretario pro tempore era l’avvocato Leone Adolfo Senigallia.
Così, nel 1934, ad Amalfi fu organizzato dalla predetta Sezione un Convegno Internazionale sul diritto marittimo medioevale che pose le basi per ulteriori studi che portarono alla nascita dell’odierno Codice della Navigazione del 1942 che soppiantò il Codice della Marina Mercantile retaggio del vecchio Regno di Sardegna.
La Tabula de Amalpha fu senza dubbio un’autorevole guida per la regolamentazione dei traffici nel bacino del Mediterraneo, per l’apposizione di clausole applicate ai contratti, nonché per la risoluzione delle controversie marittime nei secoli a venire. La sua importanza storica è da attribuirsi al contributo che essa diede alla formazione di consuetudini marittime applicate uniformemente in tutti gli Stati rivieraschi, compresi quelli di cultura e religione islamica.
Il testo, costituito da 66 capitoli, di cui 21 in latino e 45 in volgare italiano, non deve considerarsi un codice nel senso letterale del termine, in quanto i codici appariranno con la nascita dello Stato moderno, bensì una raccolta di usi risalenti alla tradizione greco – romana (leggi rodie o Nomos Rhodion Nautikos) , contenuti nella parte dedicata al diritto marittimo contenuta nel Digesto di Giustiniano. Tali usi dettavano tutto ciò che riguardava e interessava la navigazione: le controversie, il prezzo dei noli, gli obblighi del capitano e dei marinai, l’indennizzo in caso di perdita della merce, i cambi marittimi, la compartecipazione agli utili, i compensi dei rischi di mare, le avarie, l’armamento, l’abbandono del bastimento e delle merci in caso di pericolo e formava parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’antica Repubblica Marinara e delle città portuali tirreniche.
Secondo gli approfondimenti da me condotti nel volume Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha, il corpo di capitoli della Tabula sembra trovare punti in comune con i clausolari marittimi di Common Law in quanto non si stabiliscono principi generali o concetti astratti, ma si offrono risposte concrete alla casistica del tempo per soddisfare le immediate esigenze della Societas Maris, ossia quella che comprendeva finanziatori della spedizione, patrono e marinai, in cui commenda e colonna risultavano gli istituti cardine attraverso i quali veniva organizzata l’impresa di navigazione.
Da un’attenta lettura dei capitoli della Tabula su evince come il testo amalfitano, certamente realizzato e collazionato in periodi diversi, presenti una più stretta attinenza con i moderni strumenti negoziali sviluppati su iniziativa degli operatori dello Shipping, piuttosto che con l’attuale codificazione di settore, frutto prima di un lavoro sinergico degli Stati che diedero prima vita a Convenzioni Internazionali uniformi poi recepite nei rispettivi ordinamenti nazionali.
Quello della Tabula, che influenzò anche la redazione di altri statuti marittimi medievali come quello pisano, genovese e catalano, divenne “diritto vivente”, applicato, oltre che alle transazioni commerciali, nelle controversie pendenti innanzi ai Consolati del Mare e nei tribunali mercantili durante le successive dominazioni che interessarono il Mezzogiorno.
Autore articolo: Alfonso Mignone
Bibliografia: A. Mignone, Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha
Alfonso Mignone è avvocato salernitano esperto in diritto della navigazione e dei trasporti. E’ autore di Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha (2016) e La Riforma portuale di Federico II (2017).