All’origine degli zingari

La storia degli zingari è in larga parte una storia vista attraverso gli occhi degli altri perché come popolo, a lungo, non hanno avuto una scrittura, né ceti dominanti che dovessero fissare in documenti scritti le loro usanze e credenze. Così quando comparvero nel cuore dell’Europa, intorno al XV secolo, li si volle egiziani, tartari, persino Voltaire ne parlò come degli ultimi adoratori di Iside. Notizie certe sulla loro provenienza non se ne avevano e la loro lingua risultava oscura.

A partire dal XIV una serie di documenti li descrivevano come gyphtokastra, popoli dediti all’arte dei metalli, che abitavano grotte o ruderi di vecchi castelli del Peloponneso, ma non si sarebbero fermati lì, provenivano da lontano, da tempi e terre di cui non avevano ricordo ed il loro esodo proseguì sotto l’incalzare dei turchi. Gruppi più o meno cospicui, abbigliati riccamente di orecchini e turbanti, condotti da capi che si fregiavano dei titoli più altisonanti si diressero nell’Europa
occidentale.

La Cronaca di anonimo bolognese del 1422 riporta: “Adì 18 de luglio venne in Bologna uno ducha d’Ezitto, lo quale havea nome el ducha Andrea, et venne cum donne, puti et homini de suo paese; et si possevano essere ben cento presone. Lo quale ducha si havea renegado la fede christiana, et si se batezò cum tucto quello puovolo, salvo che quilli, che non volseno ritornare a la fede funo morti; et quilli che tornono a la fede funo da quattrocento o più. Et poi che ‘l re d’Ungaria gli avè prisi e rebatezadi, volseno ch’egli andasseno per lo mondo sette anni e ch’egli dovesseno andare a Roma al papa e poi ritornasseno in suo paese. Et quando gli arivono a Bologna si erano andati cinque anni, et si n’era morti più della mitade; et si haveano uno decreto del re d’Ungaria, lo quale era imperatore, per rigore de quello ch’egli posseano rubare, per tucti quilli sette anni, in ogni parte che gli andasseno, che ‘l no se posesse essere fatto zustizia. Si che, quando gli arivono a Bologna, si demorarono alla porta de Galiera, dentro et fuora, et si dormivano soto li portighi, salvo che il ducha, che stava in l’albergo da re; et (…) gli andava de molta gente a vedere, perché gli era la mogliera del ducha, la quale diseva che la sapeva indivinare e dire quello che la persona dovea avere in soa vita et ancho quello che havea al presente, et quanti figlioli haveano et se una femmina gli era bona o cativa, et s’igli aveano difecto in la persona; et de assai disea il vero e da sai no”. In effetti si posseggono copie dei salvacondotti dell’imperatore Sigismondo e del papa Martino V, tuttavia essi non chiariscono l’origine di questo popolo.

La Cronaca di Basile del 1442 ne riferiva: “Arrivano dei pagani e Zingari – un popolo straniero, abile e inutile, denominato Zingari, arrivò per la prima volta a Basilea e nella Wiesenthal con ben cinquanta cavalli. Avevano un capo, che si chiamava duca Michele d’Egitto e pure un lasciapassare del Papa e dell’Imperatore, per cui si dovevano sopportare e lasciare andare (anche se contro la volontà degli abitanti). Davano a intendere che la loro origine era dall’Egitto, dove avevano rifiutato ospitalità a Giuseppe e Maria, che fuggivano alla ferocia di Erode con il neonato Signore Gesù”. L’arrivo di queste comunità nei luoghi più disparati d’Europa comportò la divisione degli zingari che presero a diversificarsi per lingua, usi e attività sotto l’influenza delle popolazioni circostanti. Le potenze europee, poi, attuarono politiche di deportazione che portarono, già nel 1574, alla nascita di comunità di zingari in Brasile, e poi in America Settentrionale, Australia, Africa (M. Karpati, Storia degli zingari in Europa).

A partire dal Settecento si diffusero studi sull’origine etnica e storica di rom e sinti che chiarirono alcuni elementi. I lavori di Rudiger e Gottlieb Grellmann, seguiti da “Gli Zingari in Europa e Asia” di August Friederich Pott, gettarono luce sui costumi, la storia e la lingua di rom e sinti, riscontrando prove irrefutabili della loro provenienza dall’India. In particolare Pott, linguista e professore dell’Università di Halle, sottolineò gli enormi legami tra la lingua rom ed il sanscrito. Gli fece eco Franz Miklosich, supponendo che la migrazione di questi popoli dal Nord indiano risalisse fra i secoli V e XI dopo Cristo, quando si mossero verso la Persia dei Sassanidi, prosperando come fabbri e fonditori e nelle arti come musici e danzatori. Ricerche più moderne ipotizzano che rom e sinti abbiano lasciato l’India all’epoca delle conquiste di Mahmud Ghazni per sfuggire alla guerra fino a giungere nell’Impero Bizantino (R. Djuric, Le Origini).

I tipici lavori zingari richiedevano un certo spostamento territoriale alla ricerca costante di nuovi mercati per i propri prodotti e servizi. Erano ferrai, forgiai, maestri nell’arte del ferro battuto e nella lavorazione del rame, anche ferracavalli, mestieri indispensabili nelle società rurali che venivano pagati in natura dai contadini, così le donne erano solite ritirare patate, farina olio in pagamento o in acconto del lavoro del marito. Tutto ciò, col decadimento delle società agricole e la scomparsa di certi mestieri, ha dato origine all’accattonaggio, ma già nelle società dell’epoca creava problemi perché il nomadismo di certi lavori era in conflitto con gli Stati-nazione che richiedevano comunità linguistiche, religiose ed identitarie sedentarie.

Nel 1492, Ferdinando il Cattolico espulse dai suoi domini gli zingari. Sei anni dopo un simile decreto, adottato dalla Dieta di Augusta, aggiungeva anche l’impunità per quanti li avessero aggrediti, picchiati, derubati, uccisi. Ovunque la mendicità ed il vagabondaggio erano perseguiti, nei sistemi giuridici si annoverarono condanne senza processi e sugli zingari si riversarono odio e stereotipi. Furono descritti come oziosi, delinquenti, ladri, viziosi. In Grida dello stato di Milano dell’8 agosto 1693 si legge che “a qualsivoglia persona è data facoltà, quando non li potesse prendere prigioni d’ammazzarli impune e levar loro ogni sorta di robbe, bestiami e danari che gli trovasse, dichiarando S. E. applicata a quei paesani od altri che haveano fatti prigioni od ammazzati detti Zingari, tutta la presa senza che s’abbia a interessare il regio fisco”. Nel “secolo dei lumi”, dall’Austria alla Spagna, a tanta violenza si affiancò una politica di assimilazione forzata e violenta che non solo proibiva agli zingari di usare i propri idiomi ed i propri nomi, ma addirittura toglieva loro i bambini per affidarli a famiglie considerate normali.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: Zingari ieri e oggi (a cura di Mirella Karpati)

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