Il Mastro Portolano

Uno dei più antichi e prestigiosi incarichi di governo territoriale era quello di Mastro Portolano.

I Mastri Portolani erano gli ufficiali regi preposti alla gestione e al coordinamento dei porti e delle attività commerciali in ampie circoscrizioni territoriali. Le loro funzioni furono definite più compiutamente nel 1240, nell’ambito di una generale ristrutturazione delle magistrature preposte all’amministrazione delle entrate regie di Federico II di Svevia. Ebbero in quegli anni essenzialmente una funzione di tassazione per importazioni ed esportazioni di merci mentre già con gli anioini le politiche commerciali furono segnate da privilegi, sgravi fiscali e molteplici franchigie (N. Palmitessa, Amalfitani e città marinare di Puglia e Barletta).

Il Mastro Portolano si avvaleva di consultori, mastrodatti e collaboratori. Il controllo era finalizzato ad impedire la circolazione di merci clandestine, così, presso la propria residenza, il Mastro Portolano aveva un vero e proprio tribunale e finanche delle carceri. A lui spettava il controllo del pagamento delle imposte e l’accertamento di imbarchi e sbarchi delle merci. Come si può bene immaginare, il ruolo era così delicato che il Mastro Portolano necessitava anche di una scorta armata o chiedeva, come nel caso di Giovanni Simone Moccia, Mastro Portolano di Terra di Lavoro nel 1582, di essere autorizzato all’uso di armi per la propria difesa da “persune de malavita”.

Col tempo il Mastro Portolano gestì anche concessioni edilizie. Leggiamo infatti in Antonio Summonte, l’autore della nota Storia del Regno di Napoli”: “Il Mastro Portolano della Città tiene ancora il suo Tribunale con bonissime carceri nella propria Casa con la Giurisittione civile sopra quei che uccupano il pubblico della Città, e suoi distretti, nè piò niuno sensa sua licenza fabricare di nuovo, ne rifare edificij nelle strade pubbliche, nè far pennate di legno, nè impedire in modo alcuno il publico: Tiene questo Portolano il suo Consultore, il mastro d’atti, serventi, con altri ministri per la esecutione delle cose predette, dal quale si appella alla Regia Camera”.

L’ufficio era istituito in ognuna delle dodici province del Regno di Napoli e sottoposto al controllo della Regia Camera della Sommaria. Era concesso come privilegio dal sovrano e si tramandava per via maschile. Dall’avvento degli Aragonesi sino al Seicento, il Mastro Portolano di Terra di Lavoro appartenne alla famiglia Moccia del Seggio di Portanova. Il privilegio risaliva ad una concessione di Alfonso d’Aragona a Pietro Moccia nel 1449, anno della morte del precedente Mastro Portolano, Bartolomeo de Gennaro, detto “il Chiatto”. Da allora venne ribadito dai successivi sovrani aragonesi anche ai discendenti del Moccia attraverso l’istituto della confirmatio fino a quando la catena si spezzò e l’ufficio fu assegnato a Girolamo Brancia. Giacomo Moccia, fratello dell’ultimo Mastro Portolano, aprì allora una diatriba giuridica destinata a trovare soluzione solo quando suo figlio, il sopracitato Giovanni Simone Moccia, fece appello alla Regia Camera. Di lì a poco, l’istituto fu però soppresso e Filippo III istituì la tassa della Portulania per terra, correva l’anno 1610.

Il Mastro Portolano di Terra di Lavoro ricopriva forse un ruolo più importante dei suoi colleghi delle altre province perché di Terra di Lavoro faceva allora parte anche Napoli, capitale e più grande porto del Regno. Proprio da Napoli il Mastro Portolano coordinava l’attività della dogana della capitale e quelle dei porti della provincia. La dogana di Napoli, detta “Dogana grande”, era sita nella Piazza de Banchi Vecchi e vi lavoravano una serie di figure particolari destinate al controllo delle merci, anzitutto un tribunale, mastrodatti, guardiani, uno “sballatore” delle merci ed un pesatore. Singolare è il fatto che, tra le rendite spettanti al Mastro Portolano, vi fosse la cosiddetta “fella di Mellone” ovvero un melone per salma, due per carro e quattro per barca che entravano a Napoli (G. Capriolo, Paternas literas confirmamus).

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

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