Carmine Nicola Caracciolo, vicerè del Perù

Carmine Nicola Caracciolo fu vicerè del Perù dal 1716 al 1720.

Con real cedula del 20 novembre 1542, Carlo V, aveva creato il Viceregno del Perù constatando l’evidente fallimento del sistema del governatorato che aveva portato alla diffusione dello schiavismo ed alle guerre civili. Il primo vicerè, Blasco Núñez de Vela, era giunto a Lima solo due anni dopo ed era stato molto osteggiato da quegli spagnoli che traevano vantaggi dalle encomiendas, piccole giurisdizioni territoriali che permettevano lo sfruttamento degli indigeni e cospicue sottrazioni di tributi alla Corona. Tutto questo aveva in breve tempo portato ad una violenta guerra intestina che aveva trovato conclusione con la vittoria del vicerè, e l’uccisione del rivoltoso Gonzalo Pizarro, a Iñaquito, in Ecuador, il 18 gennaio del 1546.
Con Blasco Núñez de Vela migliorarono molto le condizioni degli indigeni, proprio negli anni della Giunta di Valladolid. Fu dunque abolita la schiavitù e stabilito che l’Europeo che si serviva di un indigeno doveva retribuirlo in anticipo davanti alle autorità, che l’encomendia non era ereditaria e che chi abusava degli indigeni ne veniva sottratto. Il Perù, lentamente pacificato, si avviava così sul cammino di una più serena convivenza sociale. Lungo questo percorso, nel 1716, approdò a Lima un vicerè napoletano: Carmine Nicola Caracciolo.

Nato a Bucchianico, vicino Chieti, in Abruzzo, quinto principe di Santo Bono, ottavo duca di Castel di Sangro, dodicesimo Marchese di Bucchianico, conte di Schiavi e Capracota, barone di Monferrato, Castiglione, Belmonte, Rocca Spinalberti, Frainefrica, Grandinarca e Castelnuovo, signore di Nalbeltide e di Auñón, all’età di 45 anni prese in carico il più grande vicereame dell’emisfero australe.

Carmine Nicola Caracciolo fu erudito poeta e finissimo letterato, membro illustre dell’Accademia degli Infuriati, nel novembre del 1696 compose un sonetto per la riacquistata salute del re Carlo II con cui si guadangò il titolo di Grande di Spagna di prima classe. Fu emissario della città presso il re e suo ambasciatore presso la Santa Sede, poi presso Venezia scoprendo la fitta trama di spionaggio che Vienna aveva imbastito nel Regno di Napoli, denunciò tutto al re ma le sorti della guerra consegnavano il Sud Italia agli austriaci.

Caracciolo era sposato con la figlia del Duca di Bagnara, Costanza Ruffo, dalla quale aveva avuto ben quattoridici figli, l’ultimo nato duante il viaggio che l’avrebbe portato in Perù, durante il parto però sua moglie era morta. La triste sorte lo colmò di dolore. Con lei viveva in Spagna dal 1711, aveva rifiutato di accettare il dominio di Vienna sul Regno di Napoli e gli austriaci gli avevano confiscato tutte le sue proprietà. A Madrid, era divenuto parte di quella enorme schiera di Italiani, napoletani in particolare, cui Filippo V di Borbone affidò la macchina statale.

Così era stato inviato in Perù per affrontare questioni spinose, doveva cioè porre fine al contrabbando francese, in qualche modo protetto ed incoraggiato dai suoi predecessori, e frenare la dilagante corruzione che investiva il Paese. L’ascesa di Filippo V alla corona spagnola aveva infatti rinvigorito il commercio tra i due paesi e, anche nel nuovo mondo, i porti spagnoli erano stati aperti alle navi francesi, ma si era pure sviluppata una rete clandestina di commerci illeciti, ben ramificata a Lima.

Arrivò al porto di Callao il 5 ottobre del 1716, a Lima fu accolto trionfalmente, salutato dall’arcivescovo di Charcas, Diego Morcillo Rubio de Auñón, he aveva ricoperto la carica di viceré ad interim per due mesi. Per celebrare il suo arrivo, il poeta Pedro Miguel Bermudez de la Torre pubblicò un panegirico in suo onore, “Il sole nello zodiaco”, pieno di elogi baroccchi.

Restò al governo per tre anni poi si dimise. Le sue misure contro il contrabbando erano risultate insufficienti a debellare il problema perchè da quella illegale attività derivavano i migliori ritorni economici per un agguerrito settore della nobiltà, della burocrazia e dei suoi stessi consulenti. Più successo aveva invece avuto contro lo sfruttamento degli indigeni, ottenendo il divieto di marchiare a fuoco gli schiavi provenienti dall’Africa. Il viceré si schierò pure contro la “mita”, il pagamento di tributi da parte gli indigeni sottoforma di lavoro, chiedendo il parere del Consiglio delle Indie ed ottenendo la real cedula del 5 aprile del 1720 con cui il re aboliva la mita nelle miniere di mercurio. A causa degli abusi degli encomenderos, Caracciolo aveva poi sollecitato l’abolizione totale di quel sistema ma il re, temendo disordini e scontenti, non accolse la richiesta. Dovette pure affrontare il declino della produzione di grano e l’epidemia di tifo del 1719, che causò la morte di sessantamila indigeni nelle province di Cuzco, Huamanga e Arequipa.

Madrid lo riaccolse nel 1721. Qui si spense sei anni dopo.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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