L’emigrazione in Calabria e Basilicata

Speranze, povertà e spirito emigratore: conosciamo aspetti e drammaticità dell’emigrazione in Calabria e Basilicata ad inizio Novecento, attraverso estratti dell’Inchiesta Parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali (Vol. V, T. III, Roma 1910).

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[…] Come il problema dell’Italia meridionale è un problema essenzialmente idraulico, e si concentra in una lotta intensa alla malaria e nella sistemazione delle acque e dei boschi, così tutti i rimedi finora sono stati vani: una cosa sola ha agito, fenomeno spontaneo e grandioso: l’emigrazione.
Tutta la vecchia terapia si risolveva nella facilitazione del credito. Il credito, si diceva, deve fare miracoli. I soli miracoli furono l’indebitamento della proprietà fondiaria e la rovina di molte famiglie per eccessi nella spesa.
Quando fu fatta la precedente inchiesta agraria, l’emigrazione non aveva quasi alcuna importanza; e pure non furono che parole di antipatia. Anche in Parlamento, e in tutta la coscienza del paese, l’emigrazione non incontrava che antipatia. Pareva quasi una vergogna per l’Italia: la «piaga dell’emigrazione» era indicata come un segno della tristezza dei Governi e degli ordinamenti politici. Vi sono tante terre incolte! L’Italia, magna parens frugrum, nutrice di messi e di uomini, costretta a importare grano ed esportare uomini!
[…] Ascanio Branca, nella sua relazione per l’inchiesta agraria nelle provincie di Basilicata e Calabria, pur interessandosi al fenomeno migratorio, ne rilevava la parvità, e lo trovava tadizionale in Basilicata, pei suonatori d’arpa ambulanti di Viggiano, che ispirarono i versi del Parzanese, e tutt’al più lo rilevava pei calderai di Nemoli e per alcuni altri meschini: quanto alle Calabrie, sorvolandone affatto per la provincia di Cosenza, trovava opportuno intrattenersene per le provincie di Catanzaro e di Reggio, rilevando peraltro la sua minima entità e la sua spontaneità, ciò che in fondo sembrava più un bene ch un male. Egli notava la grande affezione del contadino calabrese al suolo natìo, e scriveva: «Se il contadino ha tanto danaro raggranellato quanto ne occorre per andare in America, egli pensa invece di comprare un campicello, e di investire la moneta in una qualunque delle tante piccole industrie agrarie, che mirabilmente aumentano il capitale se ben condotte».
E’ accaduto perfettamente il contrario.
Che cosa ora è avvenuto?
L’emigrazione ha perduto il suo carattere quasi drammatico: si va, si viene dall’America con la più grande facilità… La partenza non ha più nulla di pauroso. .. In Basilicata, dove è una emigrazione ormai antica, si considera il viaggio in America assai meno che un viaggio a Firenze o a Milano. Così grandi rapporti di uomini si son ostabiliti, e in molti paesi ragazze che non sono mai state in America si fidanzano da lontano e, accompagnate dal padre o da un fratello, partono per sposarsi… Contadini che non aveano mai concepito in patria di possedere cento lire sono tornati in una situazione che sembra la ricchezza: qualcuno è anche veramente ricco: molti sono periti; ma l’immenso numero in patria o fuori la patria sta meglio di prima.
Le vecchie forme contrattuali non hanno più ragione di esistere: contratti che durino generazioni intere sono scomparsi. L’enfiteusi, che si vorrebbe far rivivere, è appena intesa in molte zone. I contadini vogliono possedere la terra da padroni. In molti paesi sono essi che hanno il danaro; la piccola proprietà non coltivatrice, la media proprietà sono in rovina. Poi che i salari crescono, in molti comuni non possono coltivare che i grandi proprietari e i piccoli coltivatori, gli americani.
In queste province l’emigrazione è il fenomeno che sovrasta tutti gli altri. Non vi sono che poche leghe, non vi sono scioperi, non vi sono forme di lotta industriale. Chi è scontento, se può, va in America, se no si rassegna e soffre.
Entrando in Calabria, nel Campotenese incontrammo un piccolo boaro di dodici o tredici anni: – Che vuoi fare? – La risposta fu semplice: – Aspetto di farmi grande per andare in America.
[…] Per intendere quale importanza abbaia la emigrazione, basterà mettere in vista alcuni punti:
1° Non vi è nessun comune di Calabria e Basilicata che non abbia se bene in assai diversa misura, emigrazione;
2° Circa un milione di uomini di Calabria e di Basilicata è andato all’estero;
3° L’emigrazione è diretta principalmente in America e soprattutto negli Stati Uniti; ma vi sono paesi i cui abitanti, per spirito emigratore, vanno anche in Asia e in Africa;
4° Non è lontano il tempo in cui saranno tanti uomini di Basilicata in patria quanti fuori la patria;
5° A New York sono stati uomini di Basilicata quanti non ve ne sono nelle due maggiori città di quella provincia, e sono tanti calabresi quanti non ve ne sono in alcuna città di Calabria;
6° L’emigrazione è cominciata nei paesi della piccola proprietà: è penetrata solo più tardi nelle zone del latifondo, dove in molti punti (esempio: Crotone) è ancora all’inizio.
E’ tale la massa d’interessi che molti paesi di queste province hanno in America, che seguono gli avvenimenti di quei paesi lontani più che quelli vicini. L’elezione del Presidente degli Stati Uniti è stata di recente seguita con grande interesse. Si desiderava la vittoria di Taft, che si credeva, a torto o a ragione, favorevole agli italiani. Quando la notizia giunse, fu festeggiata in moltissimi paesi con bande musicali, luminarie e fuochi d’artificio. Qualunque avvenimento relativo a un personaggio politico italiano non avrebbe mai prodotto simile entusiasmo.
In venti anni, tra il censimento del 1881 e quello del 1901, la popolazione di Basilicata è diminuita: quella della Calabria è aumentata. Nonostante l’emigrazione ciò è avvenuto perchè le partenze furono minori: ma soprattutto perchè la Calabria, caratteristica dell’emigrazione è la temporaneità… In complesso, dove in Basilicata e in Calabria esiste danaro in quantità relativamente importante, è nei paesi di grane emigrazione. Paesi assai poveri e con terre sterili hanno una notevole quantità di risparmi…

 

 

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