Ferrante d’Aragona e la battaglia di Sarno
Ferrante d’Aragona mosse l’esercito presso Sarno nello scontro che doveva porre fine all’invasione angioina iniziata nel 1458.
Nei “Notamenti inediti di Lodovico Raymo Seniore” leggiamo: “1460. Die 20. Junii, Dux Joannes de Angioja venit ante Civitatem Neap. Cum Galeis XX, & una Galeotta, & steterunt per dua horas prope Madalenam, & postea recesserunt versus Satbiam, seu Castrum maris de stabia, & habuit majorem partem Regni, exceptis Civitatib. Neap Aversae, Capuae, Serniae, Manfredoniae, Baroli, Trani, & Venusii, & expulsus fuit tandem per Regem Ferdinandum Primum”. Quella sopra riepilogata in una magra sintesi è la vicenda dell’invasione del Regno di Napoli guidata da Giovanni d’Angiò, figlio di Renato e duca di Calabria.
Sebbene Raymo taccia notizie direttamente inerenti il nostro oggetto di studio, la Cronaca ha il pregio di ricordare al lettore le capacità militari che ancora il partito angioino serbava nella Napoli aragonese nell’anno 1460.
Nei mesi che precedettero l’arrivo del primogenito di Renato, numerosi feudatari si erano ribellati agli aragonesi, e molte città avevano issato nuovamente i vessilli angioini. Giovanni d’Angiò, dichiaratosi legittimo successore al trono napoletano come effetto della adozione fatta da Giovanna II, poteva contare sul supporto esterno della corona di Francia e su quello interno dei baroni raccolti attorno alla figura del Principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini Del Balzo.
Anche Carlo VII, sovrano francese e zio del pretendente angioino al trono di Napoli, investì accorate risorse e nel campo diplomatico e in quello finanziario per supportare l’impresa del nipote. Egual cosa fece il principe Del Balzo che, alla morte di Alfonso il Magnanimo, assurse a guida dei baroni rivoltosi.
Sbarcato alla foce del Volturno, Giovanni aveva radunato tutte le sue forze militari e le aveva condotte a sorprendenti vittorie. Infine, acquartieratosi presso il Castello di Sarno attendeva il momento adatto per scagliarsi nell’attacco finale alle poche roccaforti aragonesi. Il 7 luglio del 1460 i due contendenti alla Corona napoletana si fronteggiarono in uno scontro aggressivo: Ferrante d’Aragona forzò i tempi e mosse da Montefusco verso Sarno nel tentativo di cogliere impreparate le truppe del principe francese.
“La battaglia finalmente de’ 7 luglio 1460 presso il fiume Sarno, ridusse Ferrante a non vedersi sovrano che della sola capitale e di pochi altri luoghi”, scrivono le cronache (V. Buonsanto, Introduzione alla storia antica e moderna del regno di Napoli). Preso pieno possesso di una collina, la fanteria aragonese prima colse di sorpresa il nemico con un attacco repentino, poi abbandonò ogni disciplina e si diede al saccheggio, consentendo all’esercito angioino di riorganizzare la controffensiva.
Quest’ultimo, accampatosi entro le mura cittadine e su parte delle circostanti montagne solcate dal fiume, dapprima non si avvide del esercito comandato da re Ferrante che si nascondeva nella “silva, cui Longulae nomen est”, la selva detta della Longola (lo spicchio di terra oggi disboscata compresa tra Poggiomarino, San Marzano sul Sarno, Striano, San Valentino Torio), poi fu abile nell’approfittare della indisciplina dell’avversario per riguadagnare fiato e terreno sino alla vittoria.
Ferrante riuscì ad aver salva la vita solo grazie all’intervento di un corpo d’uomini fidati provenienti da Cava de’ Tirreni. Giosuè e Marino Longo, alla testa di cinquecento cavesi, giunti in località Foce di Sarno, si precipitarono dal monte sugli angioini che, colti di sorpresa, arretrarono, concedendo a Ferrante la possibilità di fuggire nel Nolano e raggiungere Napoli: “Fu il Re rotto, et in pericolo di perder col Regno la vita, si non era al improviso senza sua saputa soccorso da cinquecento soldati di questa Città, guidati da Marino, et Giosué Longhi fratelli suoi cittadini, li quali calando giù dal monte, che soprasta alla Città di Sarno, detto la Foce, gridando viva Aragona posero tanto spavento, e terrore agli inimici per sì inaspettato, et subito soccorso, che dubitando di maggior sforzo, et esser colti in mezzo si ritirarono, et il Rè hebbe aggio di salvarsi in Napoli, che fu potissima cagione di salvargli con la vita il Regno” (O. Beltrano, Breve descrittione del Regno di Napoli diviso in dodeci provincie).
Nelle settimane successive l’aragonese fu costretto a reclutare un nuovo esercito per ridare battaglia e solo una netta ed inaspettata inversione di sorte poté giovargli. Sopraggiunsero il sostegno del pontefice Pio II, che emanò una bolla nella quale assolse dal giuramento coloro i quali, affiliati alla “Società dei Crescenti”, avevano giurato “alcune cose in pregiudicio del Re Ferdinando, e della Investitura del Regno concessagli dalla Sede Apostolica”, (G. C. Chino e B. Chioccarelli, Archivio della Regia giurisdizione etc.) e del nobiluomo Roberto Sanseverino, il soccorso di Giorgio Scanderberg, sovrano del principato albanese di Croia, e più tardi la morte del Principe di Taranto.
Per Giovanni d’Angiò, già sconfitto il 18 agosto del 1462 a Troia e riparato ad Ischia, era il tempo di perdere ogni speranza.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Foto gentilmente concesse dalla Compagnia d’arme “La Rosa e La Spada”
Fonti:
F. Senatore e F. Storti (a cuda di), “Poteri, relazioni, guerra nel Regno di Ferrante d’Aragona”, Napoli 2011
A. Archi, Gli Aragona di Napoli, Bologna 1968
E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di G. d’Angiò, Napoli 1898
C. Porzio, La congiura dei baroni, Milano 1965
E. Pontieri, Ferrante d’Aragona, re di Napoli, Napoli 1969