La colonia greca di Crotone
Crotone era una città achea, come Sibari, come Metaponto. Fu fondata da un ecista gobbo, Myskellos di Ripe, guidato sulle coste calabresi dall’Oracolo di Delfi.
Strabone (Geografia, VI, 262) scrive: “Antioco dice che, avendo l’oracolo ordinato agli Achei di fondare Crotone, Miscello venne a esplorare il paese e vedendo che in quella zona già era stata fondata Sibari presso il fiume omonimo, gli parve che fosse da preferire questa città; tornò quindi di nuovo dall’oracolo per domandare se fosse lecito fermarsi a Sibari invece che a Crotone. Il dio però gli rispose… ‘cercando altro al di fuori di quello che ti è concesso, corri incontro alla tua rovina; accetta di buon animo il dono che ti è stato destinato’. Di ritorno dall’oracolo Miscello perciò fondò Crotone e con lui cooperò anche Archia, fondatore di Siracusa, approdato per caso là mentre andava a fondare Siracusa…”.
La leggenda narra che il nome Crotone derivi da “Kroton”, figlio di Eaco, che morì ucciso per errore dal suo amico Eracle. Questi, per rimediare all’errore compiuto e per onorare l’amico che lo aveva ospitato, lo fece seppellire con solenne cerimonia sulle sponde del torrente Esaro e poi vicino alla tomba fece sorgere la città a cui diede il suo nome.
Di questa antica colonia greca son noti i fasti. I suoi cittadini collezionavano continui successi sportivi; trionfavano ovunque, ai giochi olimpici, ai giochi nemei, ai giochi istmici e a quelli pitici; dominavano in ogni sport, nel pugilato, nel salto, nella corsa ed a Crotone ed in Grecia statue ed iscrizioni ne celebravano le imprese. Il grande campione Milone, capace di portare un toro sulle spalle sin ad Olimpia e poi di abbaterlo a pugni, uno che in una pubblica assemplea aveva adirittura sorretto un’architrave pericolante, era il più osannato. Crotone superò ogni altra città greca nel numero di vincitori nei giochi panellenici ma anche i guerrieri crotoniati si facevano valere.
Scrivono L. Forti e A. Stazio in Megale Hellas – Storia e civiltà della Magna Grecia: “Già nei racconti relativi alla sua fondazione, la tradizione insisteva sulla salubrità del clima, che conferiva agli abitanti sanità e bellezza: il più bello dei greci del suo tempo fu considerato, infatti, Filippo di Butacide, che per aver sposato la figlia di Telis, tiranno di Sibari, fu costretto a partire esule e perse la vita combattendo dinanzi a Segesta; e le crotoniati erano di proverbiale bellezza se Zeusi, per dipingere l’effigie di Elena, in un celebre quadro nel tempio di Hera Lacinia, prese a modello cinque fanciulle di quella città. La naturale vigoria derivante dalla salubrità dell’ambiente, accentuata dalla riconosciuta eccellenza della scuola medica crotoniate, celebre in tutto il mondo per i nomi di personaggi come Alcmeone e Democede (quest’ultimo aveva curato e guarito persino il re persiano Dario e sua moglie Atossa), nonché dalla persistenza al potere di una classe aristocratica fondata sulla pratica della areté e del pónos (la virtù conseguita attraverso la fatica) resero, per circa due secoli, indiscussa la superiorità degli atleti di Crotone: da quando, nel 672 a. C., Daippos vinse nel pugilato, primo fra gli atleti di Magna Grecia ad affermarsi in una gara olimpica, fino agli inizi del V secolo a. C. Vi fu, anzi, un’Olimpiade in cui nella corsa dello stadio i primi sette classificati furono crotoniati, sicché nacque il proverbio che l’ultimo dei crotoniati era migliore del primo dei greci. È il leggendario Milone, l’eroe che, abbigliato da Eracle, guidò i suoi concittadini alla conquista di Sibari, aveva conseguito, nella lotta, ben ventisette vittorie in vari agoni. Ed è significativo che proprio Sibari e Crotone, secondo due distinte tradizioni, abbiano tentato di organizzare, nelle terre dei greci d’Occidente, giochi panellenici in concorrenza con quelli Olimpici. Eccezionali, a stare alla tradizione, furono ancora i record stabiliti da atleti crotoniati. A dire il vero, il concetto di record è alieno dallo spirito dei greci. E nella competizione tra atleti (o tra città) che si esaltava l’agonismo greco, non nella lotta contro il tempo o contro un’astratta misura. Pure, qualche notizia di prestazioni di rilievo ci è stata tramandata per un atleta, senza dubbio fuori classe, Faillo di Crotone, pentatleta vissuto all’inizio del V secolo a. C. – aveva partecipato alla battaglia di Salamina con una nave armata a sue spese – che nel lancio del disco aveva raggiunto la distanza di 95 piedi (24 m circa), mentre nel salto in lungo aveva toccato addirittura i 55 piedi (16 m circa)!”.
La partecipazione di Crotone alla battaglia di Salamina, guidati dal condottiero Faillo, esaltò le loro doti atletiche. Eppure non sempre i campi di battaglia dettero ragione ai crotoniati. Dopo una coesistenza iniziale relativamente pacifica, tra le città magnogreche, verso la metà del VI secolo a.C. iniziarono le discordie, che riproducevano a distanza lo scontro tra Atene e Sparta. Nel 560 a.C. Crotone e Locri iniziarono una guerra decennale, che si concluse con la battaglia della Sagra, vinta dai Locresi, sostenuti da Sparta, che, inferiori in numero, decimarono l’esercito crotoniate.
Crotone fu anche celebre per i suoi medici tra cui ricordiamo Democède ed Alcmeone e poi per Pitagora…
La vita di Pitagora è avvolta nel mistero, di lui sappiamo pochissimo e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda. Probabilmente nacque nella prima metà del VI secolo a.C. nell’isola di Samo, dove fu scolaro di Ferecide e Anassimandro, poi, forse perché ostile alla tirannide di Policrate, si trasferì in Magna Grecia, a Crotone.
Porfirio (Vita di Pitagora, cap. 6), riprendendo la testimonianza di Dicearco, sostiene che “i crotoniati furono talmente affascinati da lui, specialmente dopo che egli ebbe ottenuto le simpatie del senato con molti bei discorsi, che i magistrati lo incaricarono di educare i giovani mediante discorsi adatti alla loro età”. Pitagora parve ai crotoniati un uomo saggio e di esperienza, dall’aspetto nobile e pieno di grazia, dai modi educati e dal modo di parlare decoroso. Così vollero affidargli l’educazione dei loro figli: “Parlò, dunque, ai fanciulli, che gli si radunavano attorno appena usciti da scuola; e più tardi anche alle donne. Anzi, istituì un’assemblea di donne. In tal modo la sua fama crebbe sempre di più, e molti gli divennero compagni: in città non furono solo uomini, ma anche donne, come Teano, che divenne famosa; ma lo seguirono anche re e signori delle regioni circostanti, che erano abitate da barbari”.
Secondo alcune fonti, proprio dal matrimonio con Teano avrebbe avuto tre figli.
“Quello che diceva ai suoi compagni, – continua ancora Porfirio – nessuno può dirlo con certezza, perché lo custodivano in gran segreto. Ma le sue opinioni più note sono queste: diceva che l’anima è immortale, e che può trapassare anche in esseri viventi di altra specie; che quello che è stato si ripete a intervalli regolari, cosicché non c’è mai nulla di veramente nuovo; che, infine, dobbiamo considerare come appartenenti alla stessa specie tutti gli esseri viventi. Fu proprio Pitagora il primo a portare in Grecia queste opinioni”.
Il futuro di Pitagora però era destinato a cambiare bruscamente. Dopo l’espulsione dei Pitagorici, che si risolse in una vera e propria caccia all’uomo nell’ambito della sanguinosa rivolta guidata dall’oligarca Cilone, la città continuò una fase di decadenza subendo gli attacchi dei Bruzi senza saper rispondere adeguatamente. Le guerre sannitiche e la guerra punica fecero il resto.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia:
J. Boardman, I Greci sui mari, Firenze 1986
V. M. Manfredi, I Greci d’Occidente, Milano 2010
(a cura di G. Pugliese Carratelli), Magna Grecia, Milano 1988
C. De Palma, La Magna Grecia. Storia e civiltà dell’Italia meridionale dalle origini alla conquista romana, Roma 1990
P. Larizza, La Magna Grecia, Reggio Calabria 1993