Carolina Bonaparte e il lusso
Grande amante del lusso, dell’eleganza, della moda, la regina di Napoli, Carolina Bonaparte, fa trasferire, dall’Eliseo di Parigi a Portici, il suo arredamento. Ce ne parla Ludovico De La Ville Sur Illon in un volume di Napoli Nobilissima del 1903.
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Carolina Bonaparte aveva avuto dalla natura una grande passione pel lusso e pei godimenti: e le ristrettezze in cui aveva passata la prima giovinezza gliel’avevano accresciuta. Durante la dimora a Marisiglia nel 1792 aiutava la madre e le sorelle nelle più umili faccende domestiche e fino nella cucina. Ma la rapida carriera del fratello le porse il modo di soddisfare alla sua inclinazione, e la fortuna la fece incontrare in un marito che aveva, in questo almeno, i stessi suoi gusti. Gioacchino Murat, che ella sposò nel 20 gennaio 1800, insieme con tante buone doti d’ingegno, di bontà, di valore, aveva dei curiosi difetti. Troppo ricercato nel vestire, portava i capelli lunghi ed inanellati che gli accadevano sulle spalle. Dopo che fu creato duca di Berg, cominciò ad usare gli abiti più eccentrici e stravaganti che si potessero vedere, inventati dalla sua fervida fantasia.
Nel novembre 1808, per la sua entrata in Varsavia, portava un gran berretto di velluto ornato di penne di struzzo con fermaglio di brillanti, stivali gialli, abito cremisino, spada dorata di forma antica, sospesa ad un cordone di seta con fermagli d’oro, e giacca verde guarnita di pelliccia sulle spalle: il cavallo era coperto da una pelle di tigre! La sua bravura, il coraggio ed il sangue freddo mostrato sui campi di battaglia gli potevano solo far perdonare il ridicolo dei suoi abbigliamenti. L’imperatore Napoleone, suo cognato, lo chiamava il “Franconi della grande armata”.
Durante il Consolato e poi nei primi anni dell’Impero, Carolina, come granduchessa di Berg, abitava il palazzo dell’Eliseo a Parigi, dove spiegava un lusso anche maggiore delle principesse dell’antico regime: le pareti della sua camera da letto erano coperte di raso color di rosa, colle cortine del letto e delle finestre della stessa stoffa, guarnite di finissimi merletti molto alti. Era la regina delle feste, dei balli e delle cacce.
Carolina era molto bella, e la sua attrattiva principale erano la bianchezza e la freschezza della carnagione; perciò avea scelto per i suoi abiti il color rosa ed i ricami di argento, che le andavano a meraviglia.
Quando nel 1808 fu fatta regina di Napoli, temette che la sua nuova reggia non fosse mobiliata convenientemente, né vi fossero quadri sulle pareti; perciò, prima di lasciare il palazzo dell’Eliseo, fece imballare tutto quello che le parve più bello. Il conservatore dei mobili dei palazzi imperiali, il signor Lefuel, andò a domandarle un’udienza per presentare rispettosamente le sue osservazioni; e gli fu risposto che la Regina non avrebbe potuto riceverlo che fra dieci giorni, tanto essa era occupata nei preparativi del suo viaggio. Per discrezione il conservatore non si presentò se non dopo quindici giorni, e trovò il cortile del palazzo ingombe do casse, che erano man mano caricate su molti carri; salito su, trovò le sale vuote! Corse a domandare la spiegazione di ciò che accadeva all’intendente di palazzo, e questi: “La Regina di Napoli mi ha ordinato di imballare tutto: che cosa poteva fare io?”. “Ma io sono responsabile”, replicava il povero conservatore. “Fate una lista di tutti i mobili ed oggetti che mancano nell’inventario che voi avete, e presentatelo al Ministro della Casa dell’Imperatore”, rispose l’altro. Non potendo fare di meglio, il conservatore seguì il consiglio e mandò il suo rapporto al Ministro: naturalmente non ebbe mai risposta, ma la sua responsabilità fu al coverto. L’imperatore Napoleone non volle che si sapesse a Parigini che, partendo per Napoli, sua sorella aveva portato via tutto il mobilio nazionale dell’Eliseo.
Nel palazzo reale di Napoli Carolina spiegò grande magnificenza e buon gusto: la sua stanza da letto, dove amava di ricevere le persone più intime, era tutta di raso bianco. Ma il soggiorno favorito del re Gioacchino e di Carolina fu il palazzo reale di Portici. All’antica residenza di Carlo di Borbone furono aggiunti a destra e a sinistra, verso il bosco, due nuovi corpi di fabbrica, e fu tutto ammobiliato col più gran lusso ed eleganza. Il re Ferdinando IV, al suo ritorno nel 1815, ne rimase meravigliato e non si stancava di passeggiare per gli appartamenti, ammirandone la ricchezza e l’eleganza. La maggior parte dei mobili dell’Eliseo furono portati in questo appartamento… Questi mobili erano tutti nel nuovo stile allora in gran voga, quello che si chiama “stile Impero”. La nuova società sorta dalla rivoluzione francese, entusiasta dei ricordi dell’antica Grecia e di Roma, volle far rivivere le abitudini ed i costumi di quei tempi: questa moda giunse alla maggiore esagerazione. I tribuni popolari ed i membri dell’Assemblea Nazionale si drappeggiavano nei loro mantelli, come i senatori romani nella toga, e le donne vestivano abiti trasparenti ed imitati dalla statue greche. Anche i mobili delle case subirono questa influenza e furono disegnati sui modelli ateniesi e romani, ornati con riproduzioni di bassorilievi e decorati con gli ornamenti dei marmi antichi. Dopo la campagna di Bonaparte in Egitto, entrarono a far parte delle nuove decorazioni anche gli obelischi, le sfingi e le piramidi, che furono più o meno felicemente riprodotti sui mobili di uso domestico. Si volle fare una imitazione ed invece ne riuscì uno stile originale, lo stile Impero, così detto perché sotto l’Impero ebbe il suo pieno svolgimento. Così finì l’antica scuola dell’intaglio e dell’intarsio in legno, fiorita fino alla seconda metà del secolo XVIII, che aveva prodotto dei veri gioielli d’arte, e successe l’applicazione di ornamenti di bronzo dorato e cesellato sul legno liscio dei mobili. Ali intagliatori successero gli ebanisti.
Essendo i mobili molto semplici, gli ebanisti difficilmente aveano l’occasione di far mostra del loro talento artistico: nondimeno ci fu uno, che seppe sorpassare i suoi contemporanei, e lasciare un’orma duratura dell’arte sua. Giorgio Jacob si era distinto durante il regno di Luigi XVI, a Parigi, nella fabbricazione di mobili scolpiti e dorati: morì nel 1789, lasciando erede della sua arte il primo dei due figli, che ingrandì considerevolmente il suo laboratorio e salì in gran fama. La maggior parte dei suoi mobili erano disegnati dai pittori Percier e Fontaine, ed i disegni delle decorazioni in bronzo erano fatti dal celebre pittore Prudhon, ed eseguiti e cesellati da Pietro Filippo Thomire, che aveva quasi abbandonato il suo primo mestiere di orefice, ed avea adottato lo stile classico della nuova moda, che gli fruttava lauti guadagni. La fama di Jacob divenne europea: fornì mobili a Giuseppe Bonaparte re di Spagna, a Girolamo re di Westfalia, a Luigi re d’Olanda, alla regina Carolina Murat. L’imperatore di Russia gli fece eseguire una parte dei mobili del palazzo dell’Eremitaggio, ed anche la famiglia reale d’Inghilterra gli diede molte commissioni.
Quando il palazzo reale di Portici dopo il 1860 passò al demanio dello Stato, ne furono tolti i mobili e portati, la maggior parte, al palazzo di Napoli e distribuiti negli appartamenti. Nella sala detta “delle gabbie”, si vede ora un armadio, che appartenne a Carolina Murat, che è un vero ed autentico gioiello uscito dall’officina di Jacob. Misura in altezza un metro e centrimetri 60 e in larghezza 65 centimetri, ed è tutto in radice di noce finissima. Su due basi laterali poggiano due ippogrifi di bronzo scuro, che reggono sulla testa due capitelli di bronzo dorato, formato di foglie di alloro con le bacche: in fondo è uno specchio circondato da una fine cornice di foglie di edera. Un bellissimo fregio sostiene due pilastrini di bronzo cupo con applicazioni di bronzo dorato, e con capitelli, che ricordano quelli dei tempii dell’antico Egitto. La porta dell’armadio, che si apre dall’alto in basso, ha ornati di bronzo dorato, in cui è ripetuto il motivo delle foglie di edera, che circondano un bassorilievo allegorico: esso rappresenta Minerva, che ha ai suoi piedi una figura di donna seduta, raffigurante la scienza, come si vede dai diversi attributi, che la circondano; alla quale un genio alato presenta una palma e mette sulla testa una corona. La dea le stende la sua mano sinistra in atto di protezione, mentre olla destra impedisce ad un giovine alato, rappresentante l’ignoranza, di ferirla con una lancia. Un bel fregio, in cui si vedono nel mezzo due figurine di giovinette nude con ali di farfalla, ed agli estremi due lire con cigni, termina l’armadio, che è sormontato da una lastra di marmo. Il buon gusto, la finezza della cesellatura del gruppo centrale e di tutti gli ornamenti di bronzo, fanno di questo mobile un oggetto d’arte degno della fama del suo autore…